«Io sto bene qua, e basta»: l'ultima intervista a Moira Orfei
Moira Orfei è il Circo in persona. Viso iconico, trucco da bambola giapponese, profilo da sfinge, ancora oggi (l’età di una diva non si dice, ma gli 80 sono già alle spalle) conserva quel look, che Dino De Laurentiis le consigliò di non cambiare mai.
La guardi e pensi ai film di Maciste, ma pure a Fellini; a Totò o Franco e Ciccio, ma anche alla zampata di Gassman, o alla lievità di Mastroianni. L’incontro. La incontriamo nel suo caravan giallo-azzurro custodito da quattro cani: è lungo 24 metri, e da fermo si allarga fino a 8 metri. Un salotto rosa scintillante di lustrini. Ed è dolce ascoltare la favola dei suoi ricordi.
Mi si rivolge con un lei d’altri tempi, un lei pieno di rispetto, speciale. «Il mio elefante preferito si chiamava Whisky, adesso è morto», inizia. Perché era il preferito? «Mi amava. Gli altri si comportavano da elefanti, lui era come un cagnolino. Ho le foto, lui ed io abbracciati, lui che mi accarezza con la proboscide...». Convincere un pachiderma a fare qualcosa, non deve essere facile... «Io l’ho fatto per tutta la vita. Ci vuole tanta pazienza, bisogna amarli. L’elefante è un animale intelligente. Più di un cavallo».
C’erano Whisky, Babati, la Katia... Un idillio, quello con i pesanti proboscidati, con una sola eccezione: «Una volta, a Milano, hanno litigato fra loro. Io ero in mezzo, volevo che facessero pace, e mi hanno schiacciata. Quattro costole, quella volta. Sono stata anche all’ospedale. Ma a me gli elefanti mi amavano».
«Lavorare» è il verbo che Moira usa più spesso. Lavorano gli uomini e lavorano gli animali, che siano elefanti o colombe, foche o tigri. Fra il circo e il cinema? Non esita un secondo: «Il circo! Quante volte finivo di lavorare per un film o per la televisione, salivo su una macchina e via!, chilometri e chilometri per raggiungere il mio circo. Perché il circo portava il mio nome, e la gente voleva Moira, altrimenti si metteva a protestare. Quante corse!».
Quando l’orchestrina dà fiato alle trombe e parte la marcetta malandrina, si entra nel sogno: «E poi arriva il pagliaccio... E se il pagliaccio non è bravo, io me ne vado!», decreta da vera Regina. Suo padre, Riccardo, era il pagliaccio Bigolon: «È morto a 34 anni, era bellissimo. Anche mia mamma, Violetta, era bellissima». E circo facevano i nonni, Ersilia e Paolino. Contenta, oggi, di figli e nipoti? «Certo, molto». Il figlio Stefano (assente da Brescia per qualche giorno, per un impegno altrove), padre del giovane Manfredi (figlio nato dall’unione con Brigitta Boccoli), «sa fare tutto: è cavallerizzo, domatore, salta a terra».
Lara «è una grande artista ed è mamma, ha tre figli»: Moira jr (19 anni), specialista dell’hula hop, Walter jr (18 anni), che eccelle nelle verticali, e Alexander, 7 anni, un bel talento da equilibrista.
Tutti sembrano destinati a proseguire nell’arte di famiglia. Non si esce, dunque, da questa malìa? «Io sono uscita due o tre volte per fare il cinema - risponde Moira -, ma sono sempre ritornata».
Oggi il Circo di Moira Orfei è nelle salde mani dei figli Stefano e Lara. «Gestiscono tutto loro, sono bravi. Il circo costa tanto...!» (un centinaio le persone impegnate ogni sera, ci spiega un addetto ai lavori, ndr.). Quando non è in pista, a bordo del maggiolone a fiori guidato da un clown, Moira guarda tanta televisione. «Vedo un po’ di tutto. Mi piacciono i film di una volta, in bianco e nero, con artisti come Alberto Sordi. Come era bravo, Sordi!». E Mastroianni, era bello? «Bellissimo, signora». (E mostra la foto che li ritrae insieme, accanto a quella con Fellini).
Nel caravan scintillante, le statuette di Padre Pio spuntano come funghi fra ninnoli di porcellana e cornici argentate. «Sono molto devota», sussurra con pudore. Una casa speciale. «Io sto bene qua, e basta», dichiara riferendosi al suo scrigno viaggiante, anche se ogni giorno la lunga sessione del trucco pesa sempre più. La sua bella villa a San Donà di Piave può aspettare: quando Moira ci va, resta nel giardino, sul caravan. «Perché io ci sono nata, in una carovana». «Ma lei - mi domanda poi curiosa - vive in una casa?».
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