«Io, professore cieco, non rinuncio a vedere i miei studenti»
«I ragazzi vanno visti, non solo controllati». Viene spontaneo chiedere al professor Paolo Ambrosi, docente di storia e filosofia al liceo Calini e vicepresidente dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti di Brescia, come proprio lui possa dire questa frase.
«Basta con le paranoie linguistiche. Anche se sono cieco - termine che lo stesso Ambrosi non vuole tradurre in "non vedente" o "disabile visivo" - posso usare il verbo vedere in senso figurato, nessuno si deve imbarazzare». Parte da qui, dal coraggio di chiamare le cose con il loro nome e dal pregio di non prendersi troppo sul serio, la lezione più importante che il prof. Ambrosi fa ai suoi studenti (e a tutti noi). Schiettezza e autenticità.
«Quando ero giovane ci rimanevo male - racconta -, oggi se un amico mi dice "ti faccio esplorare la mia casa" al posto del più consono "ti faccio vedere la mia casa", gli chiedo se devo prendere la torcia e il caschetto».
Uno spirito che lascia spiazzati, ma come fa Ambrosi con i suoi studenti? «Ho sempre avuto meno problemi con i ragazzi che con gli adulti. Mi rispettano, ma senza eccessivi riguardi, esattamente come fanno con tutti gli altri professori». La sorveglianza, il controllo sulla classe, la gestione delle verifiche: sono le prime questioni a cui si pensa davanti a un insegnante che non ci vede, eppure per Paolo Ambrosi e per diversi insegnanti ipo o non vedenti il problema non si pone: «C’è una norma che consente ai disabili visivi di avere un assistente in aula per evitare che accadano incidenti - spiega - ma io non ne ho mai avvertito l’esigenza, perché credo nella capacità dei ragazzi di autoregolarsi».
E se copiano? «Questo avviene anche con chi ha una vista eccellente. Davanti a domande di ragionamento, poi, è difficile copiare, ma in un certo senso apprezzo che i ragazzi qualche volta ci provino, proprio come fanno con i miei colleghi. Se non mi fanno sconti, significa che mi attribuiscono risorse». Una regola che per Paolo Ambrosi vale nella vita in generale, dove di sconti non se ne è certo fatto: con una laurea specialistica in filosofia e un diploma in pianoforte al conservatorio, ha insegnato nei contesti e ai ragazzi più diversi, dall’Educazione musicale alle medie, alla Filosofia alle superiori.
«Era più difficile per me lavorare con i ragazzini più piccoli, perché in quella situazione prima ancora che le nozioni bisogna sapersi relazionare agli allievi, farli sentire presi in causa. Con i ragazzi più grandi, in una scuola come il Calini, per me è una passeggiata, da un punto di vista tecnico e relazionale».
I ragazzi scrivono i compiti al computer, lui li legge, li stampa e li corregge a mano. Ha portato più volte le sue classi in gita e lo farà anche quest’anno: «È un modo per scoprirli e per farmi conoscere come persona». No alle premure. Anche i colleghi ormai non fanno più caso alla sua cecità: «Siamo abituati a vederlo sfrecciare per i corridoi o attraversare la strada come un razzo - dice ridendo Silvia Mattioli, docente di lettere - e ci facilita la sua spontaneità. Il fatto, per esempio, che sia il primo a usare espressioni come "ho visto un film" o "quel ragazzo non lo si vede mai in classe", ha il potere di normalizzare ogni situazione». Tutto rose e fiori, dunque? «Ovviamente no - ammette Ambrosi -, ma i problemi li incontro più per l’ignoranza di alcune persone che per la mia disabilità. Un tempo ci restavo male, ne facevo una questione personale, adesso ho imparato ad andare oltre, a lasciarmi scivolare di dosso gli aiuti di cui non ho bisogno o le premure che diventano grottesche, perché la paura di offendere offende».
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