«Io, maltrattata e violentata appena dopo le nozze»
Un matrimonio combinato. Una relazione da remoto complicata. Una in presenza ancor di più. Un permesso di soggiorno ancora da ottenere. E una denuncia per maltrattamenti in famiglia, lesioni e violenza sessuale. Sono questi gli estremi del processo a carico di un 40enne operaio saldatore marocchino di casa da più di un decennio in Franciacorta portato in aula dell’ex moglie di diversi anni più giovane.
Davanti al collegio presieduto da Roberto Spanò (Mauroernesto Macca e Paola Giordano a latere) ieri c’erano entrambi. Hanno spiegato la loro versione.
La versione della moglie
Lei, costituita parte civile e assistita dall’avvocato Elisabetta Zambon, ha spiegato da dov’è nato il loro matrimonio, come sono stati i 57 giorni di convivenza, ha fornito dettagli sulle violenze che aveva già messe nero su bianco e provato a descrivere il suo stato d’animo. «L’ho conosciuto per colpa di sua sorella - ha detto la giovane donna -: come usa da noi in Marocco fu lei a dirmi che suo fratello cercava una brava ragazza. All’inizio mi è piaciuto, ma non potevamo vederci. Subito dopo le nozze, avvenute nell’aprile del 2019, lui è tornato in Italia dove viveva per preparare i documenti per il mio permesso di soggiorno».
I tempi del ricongiungimento si dilatano. Il Covid mette il bastone tra le ruote del matrimonio: i due di fatto si ritrovano solo a fine agosto dell’anno dopo, per stare insieme poco meno di due mesi. «Sono stati giorni difficili - ha detto la persona offesa - mi ha picchiato più volte, mettendomi le mani al collo e sbattendomi a terra. Ha minacciato di buttarmi dalla finestra, anche solo per aver risposto al citofono ad un suo amico. Mi ha violentato, in tre occasioni - ha detto la donna, che a Marrakech insegnava matematica alle elementari - e mi ha fatto pure male. Mi sono sentita morire dentro».
L’ultimo abuso - nel racconto della giovane - segue di qualche ora l’istanza di divorzio fatta depositare dall’operaio attraverso il suo legale in Marocco. Proprio a quei giorni - a maltrattamenti e violenze già consumati - risale anche un lungo messaggio vocale che lei ha inviato al marito e che i difensori dell’imputato, gli avvocati Gianluca Savoldi e Mariaclara Malcisi, le hanno contestato. Si tratta di una richiesta di perdono: «Il mio era un tentativo - ha spiegato la giovane donna - di salvare il nostro matrimonio».
La difesa del marito
Lui ha fornito tutt’altra versione. Oltre a respingere maltrattamenti e abusi sessuali ha spiegato di aver deciso di divorziare dopo aver capito che il matrimonio non s’aveva da fare. «In quei pochi giorni che siamo stati insieme lei ha fatto cose che non sono mai riuscito a spiegarmi - ha spiegato l’imputato -: per un appunto sulla spesa è arrivata a togliersi l’anello di fidanzamento, a lanciarlo e a dirmi che non voleva avere nulla a che fare con me. Per un mese sono stato costretto a dormire sul divano e a tornare a casa solo per cena e per fare la doccia. Un giorno, contando i soldi, ho scoperto che mancavano mille euro e che quei soldi li aveva presi lei, senza chiedermeli. Poco dopo infine l’ho sentita dire al telefono che aspettava il permesso di soggiorno per andarsene in Francia. A quel punto ho capito che non c’era più nulla da fare. Ho deciso di lasciarla e gliel’ho detto. Ha chiamato suo papà e lui mi ha pregato di ripensarci, che altrimenti sua figlia avrebbe perso l’opportunità di regolarizzarsi in Italia. Io non ho cambiato idea: lei il giorno dopo è sparita dalla circolazione. Sono andato in caserma a denunciare la sua scomparsa e i carabinieri mi hanno detto che il denunciato ero io».
Il processo è stato aggiornato al 3 novembre. Per la requisitoria del pm Carlotta Bernardini, l’arringa dei difensori e la sentenza.
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