Infetta da trasfusione: da 2 anni attende il rimborso dallo Stato

La donna ha contratto l'epatite C. Il Ministero è stato condannato a un risarcimento di oltre 30mila euro
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«Inutile suonare qui non aprirà nessuno» cantava Celentano. In questa storia il «nessuno» è il Ministero della Salute, condannato dal tribunale del Lavoro di Brescia a risarcire una donna vittima di un caso di malasanità, ma che a distanza di due anni dalla sentenza - era il 27 marzo 2015 - ancora non ha staccato alcun assegno. «L’inerzia del Ministero perdura da tempo e come il medesimo non si è conformato a due pronunce giurisdizionali» scrive il Tar che ora fa la voce grossa, sempre nell’ottica del sentire-non sentire, e pubblica un’ordinanza che non lascia spazio a fraintendimenti.

I magistrati di via Zima - presidente Giorgio Calderoni, estensore Stefano Tenca, - ordinano al Ministero della Salute «di dare esecuzione, entro trenta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della presente pronuncia, a quanto stabilito dal Tribunale di Brescia con la sentenza n. 213/2015 e di questo T.A.R. n. 1127/2016 e condanna lo stesso Ministero della Salute a corrispondere alla ricorrente la somma di dieci euro per ogni giorno di ritardo».

Il caso riguarda una donna vittima di trasfusioni con sangue infetto diventata malata di Epatite C. Avrebbe già dovuto incassare da due anni una cifra tra i 30 e i 40 mila euro come risarcimento per «la menomazione subita a causa delle trasfusioni di sangue somministratele» come si legge nel ricorso, ma il Ministero ha già due volte disatteso le sentenze: del tribunale del Lavoro prima e del Tar poi. Tutto questo nonostante fosse stato nominato un commissario che avrebbe dovuto garantire il regolare pagamento.

Per evitare nuove «dimenticanze» il Tar, nell’ordinanza pubblicata il 26 gennaio, ha nominato un nuovo Commissario ad acta, in sostituzione del dirigente nominato in precedenza, «nella persona del Capo di Gabinetto del Ministero della Salute affinché, ove l’indicato termine di trenta giorni decorra infruttuosamente, provveda a tutti gli adempimenti occorrenti per l’ottemperanza alla presente decisione». Non saranno accettate scuse «poiché - scrive il Tar - l’esaurimento dei fondi di bilancio o la mancanza di disponibilità di cassa non costituiscono legittima causa di impedimento».

E se anche stavolta il Ministero della Salute non dovesse pagare entro un mese il risarcimento previsto, scatterebbe, al 31esimo giorno, l’extra di 10 euro per ogni giorno di nuovo ritardo. Davanti ad un nuovo silenzio il Tar «segnalerà l’inerzia alla Corte dei conti alle autorità giudiziaria penale». 

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