«In ambulanza 12 ore, adesso va meglio ma non si deve mollare»

Sergio Facchetti dell’Anc Valle del Chiese e presidente regionale della Fderazione volontari del soccorso
Giovanni Zingarelli (a sinistra) con Sergio Facchetti - Foto © www.giornaledibrescia.it
Giovanni Zingarelli (a sinistra) con Sergio Facchetti - Foto © www.giornaledibrescia.it
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«Da una settimana a questa parte gli interventi con le ambulanze sono diminuiti drasticamente. C’è ancora tanto lavoro, ma rispetto alle prime settimane di marzo la situazione è relativamente più tranquilla».

Sergio Facchetti, da una vita in forza al Nucleo volontari Anc (Associazione nazionale carabinieri) della Valle del Chiese, è il presidente regionale della Federazione volontari del soccorso (Fvs), che riunisce diecimila operatori distribuiti in 68 postazioni, 3.500 quelli bresciani con 250 ambulanze e 28 postazioni.

Niente ottimismo di maniera: «Attenzione però, la pandemia non se ne è andata: i contagi calano perché rispettiamo le norme di sicurezza. Non bisogna mollare». Dall’inizio dell’emergenza i soccorritori sul territorio, di tutte le sigle, sono in prima fila nella battaglia contro il virus. Un supporto fondamentale all’assistenza pubblica.

I trecento dell’Anc della Valle del Chiese (Roè, Vobarno, Gambara e Carpenedolo), con le loro undici ambulanze, in un mese hanno percorso più di 40mila chilometri: dieci volte tanto l’anno passato.

Migliaia le persone che le associazioni bresciane iscritte alla Fvs hanno trasportato negli ospedali. I volontari di tutte le realtà pagano un alto tributo all’epidemia in termini di fatica, disagi, malati e lutti. Il morbo si è portato via operatori in attività, come Fausto Bertuzzi della Croce Rossa di Calvisano morto a marzo, e pilastri storici come Giovanni Zingarelli dell’Anc di Carpenedolo, scomparso l’altro giorno.

«Zingarelli era un grande amico, una persona onesta, sempre disponibile, che aveva creato il soccorso Anc di Carpenedolo di cui era stato per tanti anni presidente», ricorda Facchetti. Fra i molti possibili cita un episodio. Nell’aprile del 2014, per la canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII a Roma, «in tre giorni fece non so quanti turni di servizio, dormì in tutto otto ore».

Del resto, il non risparmiarsi è la cifra dei volontari in queste settimane. «C’è gente che era a casa dal lavoro e si è sobbarcata dodici ore di presenza al giorno tutti i giorni», commenta Facchetti. «Siamo quasi più spaventati o preoccupati adesso per quanto abbiamo fatto. Non so se per incoscienza, perché non c’era tempo per pensarci, per altruismo, ma la voglia di aiutare era così tanta che non si stava a pensare ai rischi personali».

Giorno e notte in giro nei pronto soccorso: «Eravamo allo stremo». Fisico, ma anche emotivo. «È brutto vedere la sofferenza di chi sta male e viene portato in ospedale, magari senza poter salutare i familiari, senza il conforto della loro presenza». D’altra parte, «adesso c’è il sollievo di vedere i guariti che tornano a casa. In loro, comunque, non si avverte la gioia, sono spaventati e preoccupati. La domanda più ricorrente che ci fanno è: "Ma è vero che può tornare ancora?"».

I volontari, ovviamente, non hanno una risposta. Possono solo continuare a mettersi al servizio della popolazione. «La vicinanza dei cittadini è il rigraziamento più grande per il lavoro che le associazioni del soccorso stanno facendo», riconosce Sergio Facchetti. Il quale ripete il messaggio ai cittadini: «Non è finita, stiamo attenti. Continuiamo a rispettare le misure di sicurezza».

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