Il viaggio di Ruggero nell'inferno dell'Aids

Ruggero sta per compiere 56 anni: l'Aids l'ha privato dell'uso di un braccio e di una gamba. Ora vive nella comunità Nuova Genesi
"LA MIA VITA CON L'AIDS"
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- Sei sieropositivo. 
- E cosa vuol dire? 
- Lo scoprirai. 

Ci sono alcuni passaggi della sua vita che Ruggero non ricorda più con esattezza. Date, nomi, luoghi. Alcune cose invece sono nitide come se fossero accadute ieri. Una di queste è il momento in cui la dottoressa gli comunicò il risultato delle analisi del sangue. 

«Erano esami fatti per altri problemi, non mi aspettavo certo di avere contratto il virus e non ne capivo le conseguenze». 

Il virus è l’Hiv, negli anni Novanta se ne parla, ma a Ruggero non sembra comunque un problema che lo riguarda da vicino. Il 3 dicembre compie 56 anni, li festeggerà sulla sedia a rotelle che non ha più lasciato da quando è stato colpito da infezioni cerebrali, ha rischiato di morire e si è trovato con un braccio e una gamba inservibili. 

Da sette anni è ospitato nella Nuova Genesi, la comunità di via Lazzaretto, in città, che si occupa di malati di Aids che non sono più autonomi. L’unica a Brescia, la terza provincia in Italia per numero di persone che si sono ammalate, e una delle poche in Lombardia. 

Dentro c’è Ruggero, con la mente lucida e il fisico malandato, ma ci sono anche persone le cui capacità cognitive, oltre che quelle motorie, sono irrimediabilmente compromesse. 

«Credo di sapere quando mi sono infettato. Negli anni Ottanta mi facevo, un amico mi ha passato la sua siringa e mi ha detto "occhio che sono sieropositivo", ma io me ne sono fregato». 

In quel gesto è contenuta la dimensione di una discesa agli inferi. «Non me ne sono preoccupato perché l’eroina è così, il mondo inizia e finisce quando ti fai. Hai un problema? La roba te lo fa sparire, ma poi sei di nuovo nello stesso schifo di prima. Anzi, peggio. Continui a suicidarti, ma non muori». 

Ruggero riesce a reagire, si disintossica in comunità e nei primi anni l’Hiv non gli dà complicazioni. Per colpa della droga aveva perso il lavoro in banca e aveva smesso di giocare a calcio, ma una volta rimesso in sesto apre un’attività a Castiglione delle Stiviere e torna a inseguire il pallone. 

«Mi ricordo il giorno in cui ho deciso di smettere, davanti al lago di Garda, vedevo le onde e sentivo il vento. Qualcuno ha guardato giù per me». 

Ha un figlio e alle spalle si ritrova un matrimonio fallito, ma ha una strana energia che ancora oggi si vede nei suoi occhi azzurri.

«Poi un giorno sono caduto come una pera cotta al supermercato. Mi hanno ricoverato e praticamente non avevo più difese immunitarie. Non avevo mai fatto alcuna terapia, non mi fidavo dei farmaci come l’Azt che davano all’inizio a quelli come me. Mi sono venute infezioni cerebrali che mi hanno provocato un’emiparesi. Non posso più nemmeno andare in bagno da solo». 

Come può una persona ridursi così? «Stupidità, nascondi la testa sotto la sabbia, fai finta di niente. Non auguro a nessuno di provare quello che è capitato a me, per questo voglio dire a tutti, soprattutto ai ragazzi e alle ragazze, che devono stare attenti. L’Hiv non è solo un problema dei tossici, qui in comunità ci sono persone che si sono rovinate andando a prostitute». 

Passa i giorni leggendo e scrivendo poesie, cercando di fare più fisioterapia possibile. Il suo momento di libertà è nel fine settimana, quando vengono a prenderlo i fratelli. 

«Ho paura di infettare qualcuno, anche se so che nel mio sangue il virus è a zero. La consapevolezza di essere pericoloso per gli altri, anche solo potenzialmente, è terribile». 

Resta attaccato alla vita con tutte le forze. «Sì, non ho mai pensato alla morte perché sono credente. Credo che in questa mia vita disastrata qualcuno mi abbia aiutato, sono stato fortunato». 

Come ti immagini nel futuro? «Bella domanda. Tra qualche anno mi vedo tornare a camminare, è la mia speranza. E poi, ti posso dire un segreto? Sono innamorato».

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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