Il tempo che non abbiamo, il tempo che sprechiamo
Sono seduta al pc che lavoro, quando sopraggiunge la notifica di un sms; non posso guardarlo o rischio che mi si chiuda la schermata, vanificando quanto fatto finora. Squilla il cellulare, butto un’occhiata per capire se posso evitare di rispondere e, nel farlo, scorgo l’icona delle mail che ne annuncia 5 non lette. Attendo una risposta importante, apro la casella e trovo tre pubblicità e due bollette; mi disiscrivo dalle liste di chi mi invia promozioni non richieste e, mentre sto tornando alla schermata del pc, mio figlio mi chiede di pagare le tasse universitarie per potersi iscriversi all’esame.
Me ne occupo subito e «beep», arriva un whatsapp: i messaggi non letti sono dieci, li scorro velocemente, il cellulare suona, numero sconosciuto, potrebbe essere il corriere, rispondo e vengo travolta da un’ondata di parole sul trading online. La interrompo bruscamente. Torno alla schermata del pc. Si è chiusa. Tutto da rifare. Impreco mentre la notifica dell’agenda mi ricorda un appuntamento.
Mi catapulto in auto con la spiacevole sensazione di aver fatto poco, e quel poco male. Mentre guido mi chiamano per un elaborato che giace da due settimane nella posta da leggere; sconsolata rispondo di non essere ancora riuscita ad aprirlo e, nell’affermarlo, un urlo mi tuona dentro: «Smettila di dire che non hai tempo e accorgiti di quello che sprechi!». È un lampo improvviso che accende una luce nel cumulonembo dei miei pensieri. Mi chiedo: perché corro? Ho forse fretta di morire?
Mi sorprende il ricordo liceale di un passo del «De Brevitate Vitae» di Seneca che il mitico professor Matteo Perrini declamava con occhi lucidi: «(…) Noi non disponiamo di poco tempo, ma ne perdiamo molto. La vita è sufficientemente lunga e ci è stata data con larghezza per la realizzazione delle imprese più grandi, se fosse messa a frutto tutta intera con attenzione; ma (…) quando non viene spesa per nulla di buono, una volta che l’ora estrema ci incalza, ci accorgiamo che è trascorsa quella che non abbiamo capito che stava passando».
Mi fermo e osservo il formicaio umano che abita le città; le persone brulicano di impegni e, per onorarli, continuano a divorare minuti senza, tuttavia, riuscire a saziarsi mai. Se, dice Einstein, «il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che facciamo mentre sta passando», in cosa consiste veramente il nostro fare? Siamo capaci di focalizzare la nostra attenzione, o siamo biglie impazzite dalle menti frammentate che rincorrono lucine e suoni nel loro accendersi e spegnersi continuo?
Se non cadiamo nella trappola della giustificazione, ma guardiamo tutto questo con serenità e determinazione, possiamo riprendere in mano «ciò che facciamo mentre il tempo sta passando», e agire magari, laddove possibile, silenziando tutte le notifiche del cellulare e permettendogli di avvisarci solo se ci chiamano, chiudendo le applicazioni mentre lavoriamo, rispondendo a mail, social e messaggi due volte al giorno e, ad una certa ora, riponendo il telefono nel cassetto. Oltre a notare che si può lavorare di meno e rendere di più, potremmo riscoprire la bellezza di una partita a scacchi, il piacere della lettura, il relax della musica e le stelle che, nel silenzio del cielo infinito, non hanno mai smesso di illuminare la notte con i loro sorrisi.
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