Il signore della vigna e la bohèta aspirata
«Tira hö dò bohète…» Invitando ad attingere alla cantina, il signore della vigna - si chiama Cèco, ha 81 anni, mani da contadino e sorriso contagioso - mi conferma due cose. La prima è che nella parlata bresciana la «esse» aspirata è diffusa ben oltre il distretto valgobbino e trumplino: la si ritrova radicata in Franciacorta (è lì che Cèco vive da sempre accanto ai suoi filari), in Media Valcamonica, nell’Ovest bresciano. La seconda è che il vino è fatto per essere condiviso.
«Tira hö dò bohète…» ordina Cèco per la seconda volta: brinda assieme alla quarantina di ragazzi di tutte le età che hanno fatto vendemmia nella sua pergola antica. Per ognuno ha un bicchiere e un sorriso, non chiede a che ora l’operaio della vigna sia arrivato o quante cassette abbia riempito. Un bicchiere e un sorriso per ognuno. «Él mìa bèl ihé?» chiede invitando alla festa. Compare anche un salame. Scompare subito. «Tira hö dò bohète…» tribadisce Cèco.
Bohèta è diminutivo di bòha, termine prevalentemente diffuso in provincia senza aspirata: bòsa (io lo scrivo con un’unica «esse sorda», niente doppie). Una bòsa è qualcosa di più della traduzione dell’italiano «bottiglia». Si rifà al termine «boccia» (intesa come panciuto contenitore di liquidi) portando con sé il gusto di una consolatoria rotondità. Bòsa trova assonanza ma non credo parentela col tirabusù, il cavatappi, che in realtà arriva dal francese «tirebouchon», dove «bouchon» è il tappo. «Tira hö dò bohète…» ordina Cèco per la quarta volta. Da lì in poi ricordo poco, solo l’eco del suo dialetto sorridente: «Él mìa bèl ihé?»
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