Il secondo momento migliore è adesso
Confucio diceva che non sarebbero bastate cento vite per conoscere la Cina, forse per questo fatichiamo a comprenderne l’anima. Li credevamo anche distanti non certo per la piega degli occhi a epicanto ma per via di quei loro diversi segni zodiacali. Noi al di qua della via della Seta eravamo già in allerta per il nostro anno bisesto, ma neppure nella peggiore delle previsioni avremmo immaginato che l’anno del topo sarebbe stato così scalognato.
Vai a capire il simbolismo cinese che assegna a un ratto le caratteristiche di acume, gentilezza e abbondanza di risorse. Abbiamo imparato a conoscerli attraverso le immagini che hanno mostrato un Paese già nel futuro, modificando in molti l’idea di un celeste impero chiuso nella città proibita, costellato di catapecchie e da migliaia di biciclette accatastate fuori dalle stazioni. Invece per la gente che ha la mania di Raymond Queneau di tenere liste questo periodo è una pacchia. Siamo subissati da elenchi solidali, da statistiche sull’andamento sanitario e dagli inventari su morti, sani e risanati. Tutto è ricondotto a dei numeri, anche per i milioni di euro e di mascherine che coinvolgono nomi illustri e sconosciuti in operazioni ambigue nell’importazione di materiali essenziali per il contrasto del contagio.
Come dei sopravvissuti, sentiamo il desiderio di tornare alla normalità, ma siamo proprio certi di voler ricominciare dal punto in cui eravamo rimasti? Vogliamo davvero riprendere il solito gioco umano? Il desiderio del periodo pre-Covid è insistente, per dirla «apertis verbis» questa è l’idea del ritorno a una normalità stantia. Detto in modo esplicito, rappresenta il rimpianto deprecabile di un odore che sentiamo da secoli a causa dello sfruttamento indiscriminato delle risorse, dello spreco e il degrado ambientale che hanno preso forma nel Pacific Trash Vortex, l’isola di plastica che cresce in mezzo all’oceano.
Una normalità unta e bisunta, sollecitata anche dai titolari di novecento punti vendita per raccolta delle scommesse legali che chiedono di riaprire, sostenuti dal concetto che «non esiste lavoro di serie A e di serie B». Richiesta lecita che non considera però il disastro sociale che coinvolge un’infinità di famiglie rovinate dal gioco patologico. Cambiare la normalità è sempre possibile, magari rinverdendo questo pensiero di Confucio: «Il momento migliore per piantare un albero è venti anni fa. Il secondo migliore è adesso».
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