Il secolo di Zecchini tra sport e ricambi
La più bella tra le belle? 490 lire. E il regalo per il piccolo di casa - uno dei primi modelli «mini» ad affacciarsi sul mercato - è un gioiellino da 140 lire. L’anno è il 1939, la bresciana «Zecchini» - attiva nella produzione e nel commercio all’ingrosso e al dettaglio di biciclette e ricambi - è già in sella da quasi vent’anni.
Dal 1920 per l’esattezza, sulla scia della passione ciclistica del fondatore Giulio
Zecchini. Al debutto la concorrenza è risibile, e rappresentata solo dall’officina Parini, in seguito dedita al motociclo consacrando «Zecchini» come l’esercizio «a pedali» più longevo della città. Non che i locali di via Solferino 38 - sede immutata da sempre - in questo quasi secolo non abbiano visto cambiamenti. L’attività, ora concentrata esclusivamente su biciclette e ricambi, sino a metà anni Cinquanta è votata anche allo sport. Con tanto di squadra che alleva giovani e plaude ai successi dei «grandi».
«Tifavamo per Benedetto Pola - cita Alessandro Odorici, marito di Giuseppina
Zecchini (figlia di Giulio) che oggi manda avanti il negozio insieme ai nipoti Mirko e Simone - o Casari, e Giuseppe Ogna, atleta di livello nazionale». A testimonianza rimangono i cimeli appesi alle pareti: la maglia della squadra - arancione con bordi blu - e la bici da corsa del '27 (una «dietro motore» a scatto fisso e priva di freni e cambio) appartenuta a Giuseppe Bianchini, «latrice di una vittoria al Parco dei Principi», ricorda Alessandro Odorici. In anni più recenti, Bianchini si candida al campionato mondiale veterani. Commissiona a «Zecchini» una bici ad hoc, e Odorici lo sfida: «Se vinci te la regalo».
«Vinse - sorride Odorici -, ma si è voluto sdebitare regalandomi la sua bicicletta del ’27». Che ora è lì, sollevata in vetrina, accanto alle più recenti - e richiestissime - city-bike e ai veicoli a pedalata assistita. «Vede? Le nostre biciclette sono fatte coi crismi di una volta, ricalcano le biciclette degli avvocati: se uno le cura un minimo gli durano una vita», a fronte di una spesa media «di 220, 250 euro per un buon modello».
Alla portata grosso modo di tutti. Non sempre è stato così: «Per anni una bicicletta è costata l’equivalente di tre o quattro stipendi»: la si pagava a rate come le automobili. I reduci di quel periodo, memori del sudore per diventare proprietari dell’agognata due ruote, «tornano regolamene per il ricambio o la riparazione». Ricambio? «Sì, li teniamo ancora tutti, di qualsiasi bicicletta, anche di 50 o 60 anni fa», si inorgoglisce Odorici. Anche ai giorni nostri non dispiace che una bici duri. Ma talvolta «subentrano le mode, il gusto personale, si cambia con maggior frequenza».
Ciò nonostante, «a Brescia, e probabilmente in tutta Italia, manca ancora il radicamento di una cultura che elevi la bici a vero e proprio mezzo di locomozione, se non per ragazzi e giovani. Certo, un aumento di sensibilità di nota». Lo conferma il trend costantemente al rialzo negli ultimi anni del numero di ciclisti.
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