Il murale che racconta immigrazione e integrazione
«Ich bin ein Brescianer», io sono un bresciano e oggi lo si può dire in tante lingue. In tedesco, in albanese, in tunisino, in serbo, nel dialetto africano pulaar, almeno tante quante ne parlano i 50 alunni delle prime medie della scuola Romanino, «che sono 95% o quasi figli di immigrati nati in Italia. Eppure loro non si pongono il problema della cittadinanza, che invece noi per ragioni politiche stiamo ancora discutendo».
Chi lo dice è Jupiterfab, all'anagrafe Fabrizio Bianchini, autore del murale appena realizzato su una parete del parco (a venire) di Case del Sole in fondo a via Milano. Lungo 50 metri per 6 di altezza, l'enorme dipinto di street art raffigura i visi di ragazzi di diverse etnie, in mezzo ai quali campeggia la scritta: «Noi siamo l'Italia».
Per ora ancora circondato da transenne, il murale segna una tappa di un progetto più ampio, chiamato «Immigrazione e integrazione» sulla scia delle problematiche sociali su cui si focalizza l'attività dell'artista originario di Molinetto di Mazzano e in giro per il mondo da 13 anni, da Barcellona a Toronto al Messico, dove risiede.
Insieme ad alcuni collaboratori e agli insegnanti della Romanino, Jupiterfab ha dato vita a un percorso partito a ottobre 2017 e che coinvolgerà gli studenti fino al 2020 nell'ambito di «Oltre la strada», il progetto di riqualificazione di via Milano. Fra workshop di installazioni sonore, teatro, scrittura creativa, fotografia e video, muralismo, l'obiettivo è suscitare una riflessione tra i ragazzi e nel resto della cittadinanza a proposito di un'identità che sta cambiando da ormai 30 anni.
«Il punto è lavorare sia all'interno che all'esterno», spiega l'artista, «perché è importante che i ragazzi scoprano chi sono e da dove vengono ma anche il luogo in cui vivono, per poter conoscere e rispettare la cultura autoctona; d'altra parte è anche un modo per avvicinare la città e sfatare falsi miti sugli immigrati». Per questo agli studenti delle medie è stato chiesto di sintetizzare i loro pensieri sull'immigrazione nelle scritte fra un ritratto e l'altro che recitano «io sono italiano» in lingua italiana e nelle lingue madri.
Ma ci sono anche piccoli spunti marginali che permettono di capire cosa ne pensano, artista, insegnanti e ragazzi, della situazione attuale. Mentre in questi giorni sale la tensione mediatica (e non solo) intorno all'uccisione di Soumaila Sacko, sul muro di una zona degradata l'opposizione alla barbarie è condensata in poche frasi: «Basta razzismo», «Provo ad amare», e addirittura con un hashtag: #lagentilezzaèrivoluzionaria.
Che per creare una rete virtuosa non serva sempre molto lo dimostra anche la presenza di alcuni ragazzi rifugiati ospiti dell'associazione il Calabrone, coinvolti pochi giorni fa nella creazione del murale grazie alla mediazione della Casa del quartiere di via Milano. Così Ibrahim, della Sierra Leone, scrive di essere stato «un uomo famoso» nel suo paese. «Famoso perché? Eri un cantante, uno sportivo?» - «No, I was a very good student and everybody knew me» (No, ero uno studente molto bravo e tutti mi conoscevano) - una frase che fa sorridere ma anche pensare all'anonimato in cui si trova adesso e da cui forse prova a uscire aggiungendo qualcosa sul suo paese, dove «ci sono tante miniere, non c'è elettricità». Come a volere riportare l'attenzione di chi forse non sa, o non ha voglia di sapere, sul retroscena scomodo delle migrazioni, che nascono spesso dalla miseria e dallo sfruttamento delle risorse da parte di altri.
Ma il murale vuole scommettere in questo senso. Se Mohammed arriva ad affermare che «Dio ha fondato l'Africa su un problema», cioè sugli enormi problemi di questi anni, il lavoro di Jupiterfab punta in positivo: è necessario conoscersi ma anche riconoscersi, nei propri volti e in una casa comune.
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