Il dilemma: metaverso o «in carne e ossa»?
Qual è oggi lo «stato dell’arte del metaverso? Dopo il trionfo agli Oscar (sette statuette conquistate su undici candidature) di «Everything Everywhere All at Once» diretto da «I Daniels» (pseudonimo del duo di registi Dan Kwan e Daniel Scheinert), è tornato a gran forza nella discussione pubblica e nell’immaginario collettivo.
Anche perché questo film pluripremiato e visionario incarna alla perfezione lo spirito dei tempi in cui il metaverso furoreggia, appunto, nel discorso pubblico, e pure nell’ultima tendenza (spietata) delle multinazionali high-tech, quella dei licenziamenti di massa a dispetto dei profitti sempre elevatissimi. Meta-Facebook ha infatti deciso un consistente dimagrimento della divisione dedicata al settore perché non riesce a individuare la modalità per rendere il tema davvero redditizio.
Anche per lo «scambio» non ottimale in materia con l’industria militare, i cui spin off, come noto (e il più celebre è Internet), hanno spesso ricadute civili dai business giganteschi. Quelle che chiamavamo un tempo le dimensioni parallele, funzionano di più (da sempre...) nello storytelling e nelle narrazioni, perché rappresentano lo scatenarsi più sfrenato della fantasia (e dei surrogati dell’esistenza), ma all’interno di «regole» di funzionamento di altri mondi spesso definite. Ed è per questo che il metaverso spopola nell’industria culturale. Mentre le esperienze gli individui continuano - almeno per ora - a preferirle fatte «in carne e ossa».
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