Il ceppo natalizio e le mucche parlanti: storie della tradizione contadina
Quando il Natale era povero a risolvere il problema ci pensava la tradizione contadina. Che è sopravvissuta a lungo anche in terra bresciana, tra ceppi natalizi e mucche parlanti.
L’insieme delle feste o ricorrenze collettive legate al trascendente, che hanno avuto origine nell’ambiente rurale, traggono i segni e simboli da preistorici riti in onore dei fenomeni naturali. Tali inspiegabili e spesso catastrofiche forze, che incutevano terrore nelle persone, costrinsero l’uomo a dare alle manifestazioni naturali sembianze simili a quelle umane: nacquero così i Culti Agrari.
Tra questi ce n’è uno tipico del Bresciano. Era infatti costume per il padrone procurare ai suoi braccianti salariati il ceppo natalizio. Alla vigilia i figli dei contadini si recavano dal «siòr padru» a chiedere il gran pezzo di legna che, per il giorno di Natale, avrebbe riscaldato anche le case dei poveri. Doveva essere un tronco di legna buona, ben secca che, messo sul camino, non «leccasse» invece di bruciare. Andavano col cuor leggero e con passo fermo i ragazzi a fare la richiesta, ben sapendo che sarebbe stata esaudita, perché protetta dalla costumanza: guai a chi non rispettava la tradizione, nella sua casa sarebbe arrivata la sfortuna. Il tronco veniva poi trascinato a casa al «chiidù», poi sul fuoco. Doveva ardere tutta la notte tra la vigilia e la nascita di Gesù. Questo ben lo sapevano i proprietari terrieri, per ciò non si sarebbero mai lasciati tentare dalla tirchieria: sarebbero stati sulla bocca di tutti.
L’origine di questo rito pagano poi fatto proprio dalla tradizione cristiana è antichissima. In età paleocristiana il Natale inveniva celebrato il 6 gennaio: si intendeva ricordare così la nascita e nel contempo il battesimo di Cristo. La Chiesa, più tardi, pensò di spostare la festa al 25 dicembre. È noto come i pagani celebrassero l’evento del solstizio d’inverno accendendo dei grandi fuochi in onore dei Lari, per festeggiare la nascita del sole. Anche sulla scia di questa usanza i cristiani hanno poi iniziato a tenere viva la fiamma del ceppo natalizio e aspettavano la nascita di Gesù.
Il rito è rimasto vivo sino al declino della civiltà contadina, poi se ne è persa la pratica e la memoria. Al tempo il capofamiglia aspergeva il ciocco con vino benedetto: unico spreco accettato per la sua valenza simbolica e rituale.
Le mucche parlanti alla vigilia dell'Epifania
C’è un’altra tradizione legata alla terra bresciana che si celebrava durante le feste di Natale. Cadeva la notte tra il 5 gennaio e l’Epifania, allo scoccare della mezzanotte: era quella l'ora in cui si credeva che le mucche iniziassero a parlare. Quella sera, naturalmente, nessuno andava in stalla, le luci erano tutte spente. Era, quella, la sera riservata agli animali. Nessun umano li poteva stare a sentire. Si raccontava di uno che si era nascosto nella paglia: se ne stava quatto quatto, tanto vicino alle vacche che aveva il volto bagnato dal fiato umido degli animali. Ma diventò sordo e cieco, per aver voluto sentire.
In casa, a tavola, non si parlava d’altro. Tutti avevano paura di quella notte. Nessuno andava per strada. Si è sempre raccontato che nelle stalle le mucche parlavano, ma nessuno sa cosa dicessero, e gli uomini, nel pieno della notte che precede l’Epifania, se ne stavano in secondo piano, parevano lontani e non riuscivano a prender sonno. Forse sognavano e provavano nostalgia di un tempo lontano quando i due mondi, quello umano e l’altro, quello animale, avevano in comune lo stesso cielo, avevano nel cuore lo stesso sapore di primitività.
Sì, le bestie parlavano quella notte, ma gli uomini, dentro a quel mistero, non c’entravano.
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