Il batterio Chimera è rarissimo, «come un incidente aereo»

L'intervista al cardiochirurgo Stefano Benussi del Civile, a proposito del batterio Chimera e dei rischi ad esso collegati
Al Civile è stato isolato il batterio Chimera - © www.giornaledibrescia.it
Al Civile è stato isolato il batterio Chimera - © www.giornaledibrescia.it
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Prima di assumere la direzione della Cardiochirurgia all’Ospedale Civile, Stefano Benussi lavorava all’ospedale universitario di Zurigo. Lo stesso in cui, nel 2014 è stato scoperto, isolato e per la prima volta descritto scientificamente il Mycobacterium chimaera, ovvero il batterio Chimera.

Dottore, una coincidenza il fatto che al Civile sia stato isolato il batterio proprio nel suo reparto e nello stesso periodo in cui si sono verificati decessi e infezioni in Veneto ed in Emilia?
Intanto, il fatto che il batterio sia stato isolato, significa che al Civile vengono fatti i controlli. Per uno come me, che arriva dalla Svizzera, la sensazione è quella di essere a casa: ho trovato macchinari di ultima generazione con isolamento completo del liquido rispetto all’aria-ambiente. Prima che il batterio venisse scoperto a Zurigo, non vi erano né sensibilizzazione né accorgimenti a livello mondiale per prevenirne la diffusione dal circuito d’acqua all’aria dell’ambiente della sala operatoria. Dal 2014, è iniziata l’allerta e sono stati apportati molti miglioramenti tecnologici su tutti i macchinari della LivaNova, tuttora utilizzati nell’80% delle cardiochirurgie. Certo, la mia esperienza professionale a Zurigo, dove si sono verificati anche alcuni casi clinici, ha fatto sì che dall’inizio di settembre io abbia chiesto di aumentare i prelievi colturali dei liquidi di raffreddamento delle macchine. Sia chiaro, i controlli di routine sono sempre stati fatti, tant’è che non abbiamo mai avuto segnalazioni di infezioni. Tuttavia, ho voluto sincerarmi in modo ancora più meticoloso che il batterio non si annidasse in nessuno dei dispositivi che abbiamo in dotazione.

Fino all’isolamento del batterio. Che significa, questo, per i pazienti?

Vorrei tranquillizzare chi è stato operato nella nostra Cardiochirurgia, citando innanzitutto la casistica che va da un caso di infezione ogni diecimila ad uno ogni centomila. Eventi molto rari, ma ovviamente non per questo da sottovalutare. Ragione per cui abbiamo intensificato i controlli, ma il fatto che la coltura del circuito d’acqua di raffreddamento sia positiva al batterio ha un peso relativo, perché oggi le macchine sono ingegnerizzate in modo tale da impedire qualsiasi comunicazione con la sala-ambiente operatoria. Un esempio, per capirci: nei motori delle automobili vi è il radiatore, con un liquido blu. Ebbene, questo liquido non va nell’ambiente (la nostra sala operatoria), ma viene raffreddato da una ventola, resta nel circuito chiuso e va nel motore per raffreddarlo. Dunque, il circuito resta chiuso, a meno che non vi sia un difetto di sistema. Questo difetto non c’è, perché non l’abbiamo trovato.

Il periodo di incubazione del batterio va da tre mesi a sei anni. Dunque, una persona potrebbe essere stata infettata sei anni fa e ammalarsi ora. E, come lei ha specificato, a Zurigo il chimera è stato isolato nel 2014. E prima?
Sì, l’incubazione non va oltre i sei anni massimi. Dunque, per chi è stato sottoposto ad un intervento dal 2012 al 2015, potrebbe esserci ancora un margine di rischio. Negli anni successivi, la sensibilizzazione internazionale ha portato ad una revisione sia dei macchinari sia dei processi in sala operatoria. L’eventualità dell’infezione è molto rara, per non dire rarissima. Tuttavia, chi ha subito un intervento cardiochirurgico ed accusa sintomi «strani» con febbre, stanchezza e dolori articolari, è opportuno che si rivolga allo specialista. In genere, chi è stato sottoposto ad un intervento al cuore lo fa comunque, ad ogni segnale sospetto. A maggior ragione, con le evidenze attuali.

E chi viene operato ora?
Beh, il meccanismo di infezione richiede un allinearsi di circostanze sfavorevoli che può essere paragonato ad un disastro aereo: accade, ma molto raramente se rapportato alle migliaia di aerei che si trovano nei cieli ogni giorno. Tutto il flusso dell’aria in sala operatoria è concepito per impedire che il liquido venga a contatto con l’ambiente. Poi, nel caso, ci deve essere anche la circostanza favorevole all’attecchimento sul paziente e solo per certi interventi.

Tuttavia, dopo l’isolamento del batterio, al Civile avete cambiato le macchine di raffreddamento?
Intanto, controlli più serrati li abbiamo iniziati prima della nota del ministero, e conseguenti alert regionali indirizzati a tutte le cardiochirurgie italiane. Poi, le macchine le abbiamo cambiate per evitare che il processo di sterilizzazione per disinfettarle fermasse gli interventi. Per questo, l’ospedale ne ha chiesto alle ditte due già revisionate, come nuove. Questo ci permette di avere una macchina di riserva in modo tale che, in caso di positività, l’attività chirurgica possa proseguire. Nel frattempo, gli ultimi dispositivi hanno il vantaggio tecnico di poter essere posizionate fuori dalla sala operatoria. Cosa che faremo, per scongiurare anche la minima percentuale di rischio.

 

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