I posti per l'accoglienza dei profughi a Brescia sono tutti pieni
L’accoglienza - tanto a Brescia quanto nel resto d'Italia - passa da due freddi acronimi: Sai e Cas. Il primo indica il sistema di accoglienza e integrazione, al quale accedono sia i richiedenti asilo che i titolari di protezione, che ricevono assistenza materiale, legale, sanitaria e linguistica.
I centri di accoglienza straordinaria, come appunto suggerisce la definizione, sopperiscono alla mancanza di posti nelle strutture ordinarie di accoglienza (anche se per tutto il 2019 e il 2020 i richiedenti asilo sono stati dirottati ai Cas senza avere possibilità di essere accolti nel sistema di accoglienza ordinario). Il sistema Sai provinciale ha attualmente 667 posti finanziati, tutti pieni, così come pieni sono i Centri di accoglienza straordinaria (Cas) che oggi, alla luce della legge 50, sono l’unica via rimasta per i migranti.
Più complesso conoscere i posti Cas, che vengono gestiti su tutto il territorio in piccoli nuclei abitativi attivati in molteplici comuni della provincia. Ad aver risposto ai bandi per la microaccoglienza bresciana lo scorso anno sono 16 gestori, tra i quali figurano Caritas, Fondazione Scalabrini Bonomelli, Comunità Fraternità, la cooperativa sociale Rosa Camuna e la cooperativa La Rete. Concepiti come strutture temporanee da aprire nel caso in cui si verifichino «arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti», i Cas non hanno più nulla di straordinario, dal momento che il sistema di accoglienza dei migranti in Italia così concepito si è rivelato insufficiente a rispondere al bisogno di accoglienza. Il centro realizzato alla «Randaccio» si colloca in questo panorama, senza essere né Sai né Cas, ma un nuovo polo di transito di prima accoglienza.
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