I medici bresciani che vanno all'estero sono il doppio dell'anno scorso
Se ci si limitasse al numero, trenta medici e due odontoiatri, di coloro che hanno lasciato ospedali e strutture della nostra provincia per lavorare in Paesi extraeuropei, si potrebbe affermare che il fenomeno ha dimensioni poco significative. Non le ha, certo, se percentualmente rapportato al numero di iscritti all’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della provincia di Brescia che sono in totale 8.135 (dato aggiornato all’ultima assemblea dello scorso aprile), di cui 6.851 iscritti solo all’Albo medici chirurghi, 779 solo all’Albo odontoiatri e 505 con la doppia iscrizione ad entrambi gli Albi.
Il dato, invece, è molto significativo, soprattutto se si considera che le istanze per trasferirsi all’estero presentate all’Ordine professionale bresciano nel 2019 erano dieci, tredici nel 2020, quindici nel 2021, salite a venti nel 2022 e quasi raddoppiate (36) nel 2023. In quattro anni, dunque, sono più che triplicate le richieste di «good standing», il certificato necessario per poter esercitare all’estero. Un certificato di «onorabilità» che attesta che non vi sono impedimenti di tipo penale e professionale all’esercizio della professione di medico chirurgo o di odontoiatra.
Dove vanno
Dove vanno? Dove lavorano, e risiedono, i trenta professionisti che hanno scelto di cambiare nazione? La Svizzera è il paese più gettonato, con dieci medici bresciani residenti. Per il resto, poche unità sparse in Grecia, Austria, Canada, Stati Uniti, Germania e Portogallo. Negli Emirati Arabi negli ultimi anni si è trasferito solo un medico, anche se altri già vi risiedono da più tempo. Poche unità, tuttavia, che hanno comunque aperto la strada ad altri potenziali «fughe».
Le richieste aumentano: «Se tra maggio e agosto sono aumentate del 40%, il dato è salito al +65% da settembre e non accenna a diminuire». Lo afferma Foad Aodi, presidente dell’Associazione dei medici di origine straniera in Italia (Amsi) e dell’Unione medica euro mediterranea (Umem). Realtà sui cui tavoli arrivano molte domande e molto diverse tra loro.
Via dal pubblico
Otto su dieci dal pubblico. A livello nazionale, negli ultimi cinque anni l’Associazione ha ricevuto oltre diecimila richieste di informazioni da parte di professionisti della sanità, dunque non solo medici, sulla possibilità di lavorare nei Paesi del Golfo. Una media di duemila all’anno. Da maggio a ottobre 2023 l’80% delle istanze sono state presentate da professionisti che lavorano in strutture pubbliche. Certo, a far accarezzare l’idea di lasciare tutto e provare una nuova esperienza pesa molto l’aspetto economico. «Non è solo quello: molti sono in cerca di una migliore qualità di vita nella quale incide certo una maggiore possibilità economica, ma anche disponibilità di tempo» spiegano dall’Amsi.
Gli stipendi
«Monitoriamo questo fenomeno da circa otto anni - spiega Foad Aodi -. Quando vengono offerti stipendi da oltre 14mila euro al mese più tanti benefit, come la casa, l’auto e la scuola per i figli, è difficile resistere. Ci arrivano tante richieste per medici con passaporto europeo, cercano soprattutto colleghi italiani, francesi e tedeschi. In questi paesi si arriva ad investire il 10% del Pil nella sanità, vuol dire avere strutture ad alta specializzazione e servono quindi ortopedici, chirurghi plastici, anestesisti, ginecologi, pediatri e, dopo il Covid, infettivologi e pneumologi».
L’Arabia Saudita, dunque, diventa il miraggio: stipendi doppi rispetto ai nostri, spesso al netto delle spese di alloggio (per un medico dai dodici ai ventimila euro in base alla specializzazione e all’esperienza) ma, anche, la possibilità di lavorare in ospedali all’avanguardia in una realtà, come l’Arabia, che investe il 10% del Pil, il prodotto interno lordo, in sanità a fronte del 6,8% dell’Italia e del 7,1% in media nei Paesi dell’Unione europea.
Il «peso» della fuga
Una «fuga» che pesa. Pesa molto. Innanzitutto perché da noi la carenza di medici e la disaffezione per alcune specialità in particolare è allarmante. Poi, e non è da sottovalutare il costo per la formazione: per ciascuno studente lo Stato spende circa 125mila euro per i sei anni della laurea. Se ne devono aggiungere 128 mila per quelli della specializzazione che, tuttavia, includono anche molte ore di pratica in corsia. Una preparazione di alto livello che ha un costo - per la persona, la famiglia e la collettività - e che è tra le più apprezzate anche in molti Paesi arabi.
Molti i «mercati» che si stanno aprendo proprio in quell’area del mondo. Si pensi che entro il 2030, fonte Amsi e Umem, in Arabia Saudita serviranno 44mila medici e 88mila infermieri per arginare in parte l’esodo di 30mila pazienti che ogni anno dai Paesi del Golfo emigrano in Europa e negli Usa per farsi curare con un costo di oltre 20 miliardi.
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