I due infermieri: «Abbiamo lasciato il posto in ospedale ma crediamo nella sanità pubblica»

Dieci anni fa si sono dimessi dall'ospedale Civile per nuove sfide da liberi professionisti «anche in convenzione»
Un’infermiera libera professionista si reca a casa di un paziente per l’assistenza domiciliare © www.giornaledibrescia.it
Un’infermiera libera professionista si reca a casa di un paziente per l’assistenza domiciliare © www.giornaledibrescia.it
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Medici e infermieri «sull’orlo di una crisi di nervi». La fotografia è stata scattata da un’indagine condotta dalla Federazione medici internisti ospedalieri dalla quale emerge che il 45% degli infermieri intervistati è in «burnout», ovvero presenta quell’insieme di sintomi determinato da uno stato di stress permanente con il quale devono vivere coloro che prestano la loro opera nei reparti ospedalieri.

Addirittura, uno su due pensa di licenziarsi per le pesanti condizioni di lavoro.

Gian Luca Raineri e Fabio Stanga una decina di anni fa si sono licenziati realmente. Raineri dopo sette anni e Stanga dopo nove anni. Entrambi lavoravano come infermieri nel Primo Servizio di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale Civile di Brescia. «Una decisione che non era legata ad una situazione di stress: il lavoro in ospedale è certamente molto impegnativo, ma dà anche molte soddisfazioni - spiegano -. In realtà, noi volevamo creare qualcosa di nostro. Qualcosa che potesse offrire un contributo alla professione e al modo di esercitarla. Un modo nostro che, rimanendo saldamente ancorato alle indicazioni del nostro Codice deontologico, fosse in grado di offrire alle persone che hanno bisogno un’assistenza qualificata. Le esperienze che abbiamo maturato nel pubblico ora le condividiamo e le mettiamo a disposizione».

Si sono dimessi, ma non hanno rinnegato il Servizio sanitario nazionale, con il quale continuano a collaborare sul territorio.

Il pubblico

«Ci crediamo molto nella sanità pubblica, dentro la quale operiamo e che sosteniamo. Crediamo che la matrice del Servizio sanitario debba rimanere saldamente pubblica, ed anche solidamente tale- spiegano -. Oggi, tuttavia, le aziende si orientano all’esternalizzazione di alcuni servizi, anche delicati, per cui è necessario che vi siano professionisti in grado di garantire un’ assoluta qualità». Lavorare nello studio associato, da loro fondato, significa tuttavia avere l’opportunità, oltre che di condividere gli intenti, anche di ideare progetti e porsi obiettivi in modo autonomo. Insomma, mettersi in gioco.

«La vita da dipendenti non ci manca, è stata una nostra scelta quella di misurarci con le nostre capacità - aggiungono-. Quello che ci manca è poter affiancare gli studenti e trasmettere loro le competenze che abbiamo acquisito negli anni. Ma a chi è in convenzione, come noi, non è permesso e questo crediamo sia una sorta di baco nel sistema di formazione delle nostre università. Gli studenti vengono formati per lavorare negli ospedali da dipendenti e questa è anche una delle ragioni che fa venir meno parte dell’attrattività verso la nostra professione. Sarebbe opportuno, a nostro parere, creare occasioni di incontro anche tra gli studenti e il lavoro autonomo».

La formazione

A proposito di università, Raineri e Stanga sottolineano che la professione infermieristica, pur richiedendo una formazione universitaria ormai dal 1994, di fatto nel mondo del lavoro è cresciuta molto meno della formazione. «Un esempio: chi tra di noi ha un master di primo livello in geriatria, non necessariamente è destinato a lavorare in geriatria. È giunta l’ora di distinguere, in base ovviamente alla formazione, l’infermiere generalista da quello specialista - spiegano -. Un altro dato: l’evoluzione della carriera. Per chi è dipendente è molto difficile anche se esistono profili molto qualificati».

Queste le ragioni di una progressiva disaffezione nei confronti della professione? Di certo, anche queste perché ai riconoscimenti professionali sono legati quelli economici, ma non solo. Il sale di quello che Gianluca e Fabio ritengono un lavoro di impagabile fascino. 

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