I 90 anni di Giovanni Bazoli: «Esigenza esistenziale il legame con le mie radici bresciane»
Compie oggi novant'anni Giovanni Bazoli, avvocato e banchiere, bresciano d'origine e residenza, con una vita che scorre intrecciata alla storia del nostro Paese. Cominciamo con gli auguri...
Grazie a lei e a tutti. Il richiamo dell'anagrafe, cioè del tempo che fugge, è inesorabile. Natale per me significava anche andare a sciare; me l'hanno impedito, perché una caduta alla mia età sarebbe troppo rischiosa. Se energie fisiche vengono meno, in compenso sono ancora molto impegnato. Ho accettato infatti la riconferma per un altro triennio a Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo. È un titolo operativo, in quanto ho l'incarico di seguire, seppur da esterno, il settore degli investimenti culturali della banca. Ed è un impegno appassionante perché quello che fa la banca in questo campo ha pochi raffronti nel mondo. Basti pensare alle Gallerie d'Italia: abbiamo destinato a musei quattro palazzi monumentali situati nei centri storici di Milano, Torino, Napoli e Vicenza. Per numero di visitatori, in occasione di alcune mostre, le Gallerie si sono posizionate al terzo posto in Italia, dopo i Musei Vaticani e gli Uffizi di Firenze.
Ma nell'ambito culturale lei ha altri incarichi...
Sì, a Milano sono Consigliere della Scala e Presidente Onorario di Casa Manzoni. Inoltre sono impegnato a Venezia alla Fondazione Cini, di cui sono presidente da 23 anni. Devo però trovare tempo anche per altro...
... Sogni nel cassetto?
Semplicemente progetti personali da portare a termine. Custodisco infatti una montagna di documenti e memorie familiari - di mio nonno, mio padre e mio fratello - da ordinare e da lasciare ai miei figli e nipoti. Solo pochi giorni fa ho trovato tra le carte una lunga lettera scritta da mio nonno Luigi in risposta all'invito del futuro Papa Paolo VI a presenziare alla sua prima Messa. Tra loro c'era una confidenza speciale. Al giovane Gian Battista Montini mio nonno raccomandava di non avere esitazioni sulla sua vocazione. Scriveva: non puoi sapere cosa il Signore ha stabilito per te. Mio nonno parlava anche di sé, di una sua rinuncia importante (forse alla ricandidatura a parlamentare, nel 1921) e confessava che la decisione gli era costata, segno di un attaccamento del quale rimproverava se stesso.
E lei, ha mai fatto rinunce?
Ho rinunciato all'avvocatura, alla quale mi ero preparato anche attraverso la docenza universitaria. Da allora l'impegno nel mondo finanziario ha assorbito gran parte della mia vita.
La sua carriera è strettamente legata al Nuovo Banco Ambrosiano...
In prima battuta avevo declinato. Poi, convinto dall'amico Nino Andreatta (allora ministro del Tesoro), ho accettato la sfida che sembrava davvero impossibile: salvare il salvabile dell'azienda dell’ex Banco Ambrosiano. Ciò significava anche tentare di salvare il Corriere della Sera, che era sul punto di fallire. Le cose sono andate bene, ma l'esito era tutt'altro che scontato. E ci sono stati tanti momenti in cui noi amministratori del Nuovo Banco Ambrosiano ci siamo sentiti davvero soli, avendo contro i massimi poteri economici italiani, con l'unico appoggio di Ciampi e della Banca d'Italia. Ciò è accaduto quando, messo in sicurezza il Nuovo Banco Ambrosiano, abbiamo dovuto difenderlo dagli attacchi perché era diventato appetibile per tanti. Ultimo assalto nel '94, con un'Opa della Comit di Fausti, appoggiata da Mediobanca di Cuccia. Ma poi, proprio con Cuccia, si avviò un rapporto speciale. Ricordo la sua venuta in segreto qui, a casa mia... Aveva più o meno la mia età di oggi. Da allora la banca ha potuto puntare sulle più importanti strategie di sviluppo: l'acquisto della Cariplo, della stessa Comit e, infine, la fusione con il San Paolo IMI. Quando sono invitato all'università a parlare di quei tempi, gli studenti si mostrano molto interessati. Anche perché oggi si possono dire cose che allora dovevano essere tenute riservate.
Sono passati quarant'anni dalla sua nomina a presidente del Nuovo Banco Ambrosiano. Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. Cosa significa oggi «fare banca»?
Ho sempre sostenuto che la banca fosse un'impresa speciale: libera come tutte le imprese e speciale perché non tesa al solo guadagno. E non solo perché il risparmio è tutelato dalla Costituzione. La banca deve rispondere ai criteri di responsabilità sociale di impresa che oggi vediamo estesi ad altri ambiti economici. Per crescere, una banca ha bisogno che cresca anche il mondo in cui opera. Una banca oggi deve saper essere promotore di sviluppo, leva di progresso per tutti. Intesa Sanpaolo, su questo fronte, è stata antesignana. Sostenuta nell'azionariato da un nucleo coeso di Fondazioni di origine bancaria. E questo spiega perché io mi occupi ancora della banca.
Più di recente la sua attività di banchiere l'ha portata in Tribunale. La sua assoluzione ha sanato l'amarezza?
Quella di Ubi è tutt'altra storia. Se c'è una biografia professionale legata a Banca d'Italia, è la mia. Non ho mai mosso un passo senza averlo concordato. È quindi paradossale essere stato accusato di averla ostacolata. Lei parla di amarezza; si è trattato di qualcosa di più, un incubo. Detto ciò, nella vita ho dovuto affrontare prove ben più dolorose.
Lei ha perso la mamma quando avevo solo tre mesi; suo fratello Luigi è morto in incidente stradale ancora giovane e già vedovo, perché Sua moglie Giulietta è tra le vittime della strage di piazza della Loggia...
Chi guarda la mia vita dall'esterno può pensare che io abbia avuto fortuna e successo nell'attività pubblica e sia stato molto sfortunato nell'ambito privato per i drammi che hanno colpito la mia famiglia. Io invece credo di essere stato privilegiato nella vita - e di continuare ad esserlo - proprio in ragione degli altissimi valori umani e spirituali che le persone più care e più amate della mia famiglia, anche se perse precocemente, mi hanno trasmesso.
È per questo che non si è mai allontanato dalla sua città, Brescia? Qui ha cresciuto i suoi figli e qui torna ogni sera, dopo il lavoro.
Non avrei potuto fare diversamente. Restare legato alle mie radici, alla storia che mi appartiene, è una esigenza quasi esistenziale. Così come avvertirei, ora, l'esigenza di lasciare ai miei familiari una traccia di quello che credo di aver capito del vivere.
Un testamento morale?
Un invito a riflettere sulle cose che contano davvero nella vita. Vede, se sul piano pubblico posso pensare di aver fatto quello che dovevo, sul piano privato vedo invece enormi lacune. Nel rapportarci agli altri tutti siamo portati quasi d'istinto a vedere in prevalenza i difetti invece delle qualità dei nostri interlocutori. Se fossimo capaci di riconoscere nelle persone che incontriamo - come in un bilancio - i lati positivi superiori a quelli negativi, cambierebbe il mondo. Ecco, è in questo senso che la mia vita avrebbe potuto essere molto più ricca e feconda.
È per questo che ora intende scrivere una riflessione sulla Provvidenza?
In realtà lo promisi ancora anni fa all'Editrice Morcelliana, chiedendo di sospendere la pubblicazione di una mia pubblica conferenza, perché ritenevo che meritasse un approfondimento. È un tema, a ben vedere, centrale nell'alternativa tra credere e non credere. Un tema centrale anche e soprattutto per i giovani che non sanno pregare, pur avendo uno smisurato bisogno di senso della vita e di credere in qualcosa. Papa Francesco insegna che non è più il tempo di proselitismo, invitandoci invece a procedere nei confronti dei giovani per attrazione: il che forse significa ricorrere non solo alla ragione, ma alle ragioni del cuore, come diceva Pascal. Del resto, sul rapporto tra la sfera della razionalità e quella delle emozioni, io sono convinto che le neuroscienze ci porteranno a scoprire l'esistenza di connessioni imprescindibili.
C'è qualcosa che la rende felice?
Le rispondo: ogni volta che si vince una battaglia giusta e che sembrava persa. Questa è una risposta del tutto sincera, però incompleta. Perché ci sono varie forme di felicità. Ci sono i momenti di felicità che sopraggiungono come doni inattesi. E soprattutto c'è la felicità più intensa che conosciamo nei rapporti affettivi. E che non si racconta.
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