I 50 anni del Florida e le discoteche bresciane che hanno fatto la storia

Nostalgia canaglia: un viaggio sulla «stella più brillante dell’universo» tra dance e hardcore. Passando da Genux, Mazoom, Number e gli altri
  • La discoteca Florida di Ghedi, com'è oggi (fotografata in un giorno di chiusura)
    La discoteca Florida di Ghedi, com'è oggi (fotografata in un giorno di chiusura)
  • La discoteca Florida di Ghedi, com'è oggi (fotografata in un giorno di chiusura)
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Qualunque bresciano nato negli anni ’80 riconoscerebbe quel logo a prima vista, perché tra la fine degli anni '90 e i primi Duemila l’adesivo era appiccicato ovunque: sulle carene dei motorini, sulle «Smemo», sui lampioni. Il popolo della notte dell'inizio del nuovo millennio lo sa: la palma con il sole è lo storico simbolo della discoteca Florida. «Il Flo» come lo chiamavano i clienti fissi, «la stella più brillante dell’universo disco» come si autodefiniva ai tempi d’oro.

Quest’anno il mitico locale in via Montichiari a Ghedi compie 50 anni. Cinquanta, fa impressione solo dirlo. Soprattutto a quegli ex adolescenti che lì ci hanno passato non solo le serate, ma anche le domeniche pomeriggio: per migliaia di bresciani un inevitabile rito d’iniziazione collettivo.

L'adesivo con il logo del Florida - Foto tratta da www.ebay.it
L'adesivo con il logo del Florida - Foto tratta da www.ebay.it

Com’era il Florida, tra dance e hardcore

La discoteca Florida è stata inaugurata nel 1973, ma i fondatori Giuseppe Scalvenzi e Patrizio Tinti avevano già avviato l'attività tre anni prima: uno sporting club, con piscine e campi da tennis. «Abbiamo iniziato con una sola sala - spiega Tinti - e poi ci siamo ingranditi, poco alla volta. Negli anni Duemila abbiamo raggiunto i 4000 metri quadri di estensione, con cinque sale da ballo, tra cui la Divina Dimora al piano rialzato». Tiziano Scalvenzi, fratello del fondatore e attuale manager, ricorda: «La domenica pomeriggio nel parcheggio c'erano anche 300-400 scooter, eravamo un punto di riferimento». All'esterno la famigerata cupola in ferro è stata smantellata, ma c'è ancora la struttura dell'ufo: una scenografia che un tempo faceva muovere un enorme disco volante con luci stroboscopiche.

  • Tra hardcore e dance, alcune foto d'archivio del Florida
    Tra hardcore e dance, alcune foto d'archivio del Florida
  • Tra hardcore e dance, alcune foto d'archivio del Florida
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  • Tra hardcore e dance, alcune foto d'archivio del Florida
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    Tra hardcore e dance, alcune foto d'archivio del Florida
  • Tra hardcore e dance, alcune foto d'archivio del Florida
    Tra hardcore e dance, alcune foto d'archivio del Florida

Entriamo, affiancando la cassa dove si faceva la fila per il biglietto da 10mila lire. Lasciata alle spalle la «sala happy music», riservata alla disco anni '80, basta chiudere gli occhi e s’accende la macchina del fumo. Riaffiorano i ricordi. In «sala commerciale» le ragazze hanno l’ombelico scoperto e miriadi di brillantini sulle palpebre, chiedono le canzoni del momento dettando ai dj Bislo e Freccia dediche precise. Gigi D’Agostino, Billy More e Gabry Ponte riempiono l’aria, già densa di strusci, sigarette aspirate sui divanetti (la legge Sirchia, 2005, è ancora pura fantasia) e bicchieri con la condensa. La ressa al bancone invoca cocktail che oggi pochi baristi saprebbero replicare, Angelo azzurro e B52 in testa. I giovani e i meno giovani affollano il corridoio che porta a quello che, a tutti gli effetti, sembra essere un altro pianeta: la «sala hardcore».

La musica techno hardcore, nata attorno al 1990 in Nord Europa, è un genere caratterizzato dall'uso di drum machine (strumento elettronico che riproduce il suono delle percussioni, quella per eccellenza è la Roland TR-909) e di distorsore. Negli anni successivi, dalla miccia iniziale nelle radio private fino alla diffusione in tutto il continente, l'hardcore ha sviluppato numerosissime sottocategorie. Il movimento «gabber» raduna le persone che ascoltano hardcore ballando «hakken»: in Italia, il Florida era un punto di riferimento.

La subcultura gabber

Nico & Tetta in una foto d'archivio, nella sala hardcore del Florida - © www.giornaledibrescia.it
Nico & Tetta in una foto d'archivio, nella sala hardcore del Florida - © www.giornaledibrescia.it

Nella sala hardcore di Ghedi, le adolescenti portano i capelli raccolti in una coda alta e rasati sulla nuca e ai lati. I ragazzi (tagliati a zero o con la cresta) indossano felpe firmate Australian e ai piedi hanno le Nike Air Max. Non marchi a caso: lo stile gabber ha regole precise.

Gabber non è solo un modo di ballare, ma un’autentica identità che va ben oltre il frenetico ritmo di 180 battiti per minuto. Nata nei Paesi Bassi, la subcultura gabber è sinonimo di evasione, ribellione e sfogo, associata al ballo hakken perpetrato per ore e ore (nei rave spesso associato all'uso di droghe sintetiche).

E al Florida ha trovato uno dei suoi templi in Italia, anche grazie a Nico & Tetta (Nicola Sbalzer e Daniele Ferrari): duo di produttori di musica hardcore, nato a Brescia nel 1999, diventato e rimasto resident dj nella discoteca di Ghedi, ma al contempo affermato in tutto il mondo. «Abbiamo suonato in Germania, Olanda, Spagna, Russia, Australia e Stati Uniti» ci racconta Ferrari, che è anche l'organizzatore del grande evento che il 30 settembre celebrerà il mezzo secolo del Flo: «C'era una volta il Florida» è in programma dalle 22 alle 5, ingresso (15 euro) vietato ai minori di 25 anni. «Abbiamo scelto di organizzare questo revival per chi quegli anni li ha vissuti davvero. Ci saranno tantissimi ospiti, tra dj storici e di oggi, ma non possiamo svelare nomi» chiosa Ferrari.

Come è il Florida oggi

  • Le serate al Florida di Ghedi spaziano tra diversi generi musicali
    Le serate al Florida di Ghedi spaziano tra diversi generi musicali
  • Le serate al Florida di Ghedi spaziano tra diversi generi musicali
    Le serate al Florida di Ghedi spaziano tra diversi generi musicali
  • Le serate al Florida di Ghedi spaziano tra diversi generi musicali
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  • Le serate al Florida di Ghedi spaziano tra diversi generi musicali
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  • Le serate al Florida di Ghedi spaziano tra diversi generi musicali
    Le serate al Florida di Ghedi spaziano tra diversi generi musicali

Il locale oggi si è dovuto reinventare, diventare multifunzionale. «Fare i numeri di una volta è impensabile - specifica Scalvenzi -, ma ci siamo rinnovati. Accogliamo diverse serate con stili musicali variegati: dal latino (portoricano, salsa, bachata, kizomba), al rap, all'hardcore». La capienza della discoteca si è ridotta, anche per far fronte alle norme della sicurezza sempre più stringenti. «In passato potevamo avere molte più persone, oggi all'interno sono al massimo 1.500. Diciamo che la burocrazia non aiuta: molto stringente per i locali da ballo come noi e decisamente più blanda altrove, dove invece servirebbero più controlli».

Il calendario delle serate si conferma comunque molto ricco. «Da qui sono passati tantissimi vip - ricordano i titolari -, fin dall'inizio. Dai dj nazionali più rinomati, agli attori, ai fenomeni del momento. Memorabili le serate con Pietro Taricone e Raz Degan, c'era il pubblico in visibilio». Anche oggi gli attestati di stima non mancano: lo scorso febbraio il cantante Rema ha ricevuto proprio qui il disco d'oro per il suo brano «Calm down». «E ce lo ha regalato» ci dicono in coro indicando il quadro appeso in ufficio.

Patrizio Tinti, Daniele Febbrari (dj Tetta) e Tiziano Scalvenzi - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
Patrizio Tinti, Daniele Febbrari (dj Tetta) e Tiziano Scalvenzi - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it

Le altre discoteche di massa

Gli anni a cavallo tra i ’90 e i Duemila sono stati quelli dell’era delle discoteche di massa. Locali enormi, in grado di attirare e accogliere migliaia di persone, anche da fuori provincia. «Lavoro da sempre nel mondo dei locali e ricordo che all’epoca c’erano quattro grosse discoteche, poli della vita notturna» spiega Alberto Peretti, dj e produttore conosciuto con il nome d’arte dr. Space, «regular guest» (ospite fisso ndr) al Circus di Brescia e ogni fine settimana ancora alla consolle di altri diversi club della provincia. «Tre di questi giganti esistono ancora, anche se il mercato è molto cambiato. Sono il Number One a Corte Franca, il Florida a Ghedi e il Paradiso a Brescia, nel quartiere San Polo. E poi c’era il Genux (diventato in seguito Dehor) a Lonato del Garda, noto come la discoteca più grande del mondo e ora un cumulo di macerie».

Anche il Number One era una capitale dell’hardcore, nelle serate calamitava migliaia di persone. Tra i suoi dj più celebri c'è Claudio Lancinhouse (pseudonimo di Claudio Lancini, originario di Adro). «Ricordo nel parcheggio decine di pullman da tutta Italia, un afflusso mai più visto se non nei grandi festival - spiega Peretti -. In qualsiasi spiaggia tu andassi in vacanza d’estate, quando dicevi di essere di Brescia la risposta era sempre "dove c’è il Number"». Un’istituzione, tutt’oggi in attività, e guidata dall’imprenditore Steven Basalari, proprietario anche del Qi Clubbing a Erbusco, oltre che influencer da più di mezzo milione di follower su Instagram.

L'ingresso del Number One a Corte Franca - © www.giornaledibrescia.it
L'ingresso del Number One a Corte Franca - © www.giornaledibrescia.it

Nello scenario hardcore brilla ancora, come detto, la stella Florida, dove però trova spazio anche la musica commerciale e dance, così come succedeva al Genux. Il Paradiso, invece, aveva e mantiene un target con un’età media più alta, grazie alle sale riservate al liscio e al latinoamericano.

I locali più piccoli

«C’era poi una galassia di locali satellite, che facevano numeri più ridotti ma incredibili se paragonati a quelli di oggi» continua dr. Space. «Indimenicabile il Fura a Lonato, che spopolava come locale di performance teatrale e artistica. Un caso unico nel clubbing italiano, che ha accolto l’estivo del Circus e poi è diventato No Name. La chiusura nel 2012».

Coda all'ingresso del Mazoom/Le Plaisir in una foto d'archivio - © www.giornaledibrescia.it
Coda all'ingresso del Mazoom/Le Plaisir in una foto d'archivio - © www.giornaledibrescia.it

In tantissimi frequentavano il Mazoom-Le Plaisir a Desenzano (il nome cambiava a seconda della serata) dove andava per la maggiore la musica house. «C’era più selezione all’ingresso, senza camicia gli uomini potevano fare a meno di mettersi in coda. Celebre e imitatissima la serata White Trash, in cui era obbligatorio vestirsi di bianco». Nell’orbita di questi big c’erano anche altri più piccoli ma non meno di tendenza: Cantinaccia, Nuba, Dlq (Dietro Le Quinte) in città e Shibuya (ex Sport Cafè e prima ancora America) a Rezzato.

Infine, fondato nel 1999 e ancora sull’onda del successo, il Circus di via Dalmazia a Brescia: «Prima era per una nicchia, ora è ancora il locale di riferimento della città, tra quelli che registrano ancora sold out. Ha cavalcato il filone del Pineta di Milano Marittima, suonando fashion house, a cui poi nel tempo si è accostato un po’ di tutto».

La fine dell’era delle grandi discoteche

Detriti nell'area dell'ex Genux dopo la demolizione
Detriti nell'area dell'ex Genux dopo la demolizione

Ma perché certi numeri nei locali, anche grandi, non si registrano più? I fattori che hanno portato al ridimensionamento del «fenomeno grandi discoteche» sono tantissimi, ma forse uno su tutti è stato determinante: l'introduzione nel 2003 della patente a punti. «Il giro di vite imposto nel 2003 dal codice della strada ha fatto tanto, per fortuna, per la sicurezza stradale - commenta Peretti -, ma di sicuro ha influito sulle masse di avventori in movimento, pronti a macinare chilometri nel weekend». La scure delle patenti ritirate all'istante in caso di guida in stato d’ebbrezza (per cui oggi è stata raggiunta la tolleranza zero) ha consapevolizzato gli automobilsti e, al tempo stesso, ridimensionato le trasferte del sabato sera verso le discoteche. Sul punto è d'accordo anche dj Tetta, che però aggiunge: «L'avvento dei social network ha cambiato le abitudini dei più giovani, ormai per vedersi e conoscersi non serve più (o almeno così pensano) andare in discoteca».

«Poi, la globalizzazione della musica, con l’avvento delle grandi piattaforme digitali come YouTube (2005) o Spotify (2006), ha disincentivato tutti coloro che per ascoltare e ballare un genere specifico di musica andavano nei locali. Oggi basta un clic, tutto si è uniformato e anche un po’ appiattito».

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