«Ho visto il mondo dagli 8.167 metri del Dhaulagiri»
L’essere umano tenta da sempre di superare i propri limiti, andando oltre la fatica, la paura, le insicurezze. Nonostante gli sforzi però non sempre ciò è possibile, soprattutto quando è la natura a dire di no. In pochi e straordinari casi invece uomo e natura scendono a patti, la seconda permette al primo di trasformare i suoi sforzi e il suo coraggio in successi.
È questo il caso di Matteo Bonalumi, 57enne che nei giorni scorsi ha raggiunto la vetta del Dhaulagiri in Nepal, con i suoi 8.167 metri settima montagna al mondo per altezza. Un’impresa già di per sé notevole ma resa ancora più importante dalle difficoltà della scalata. La «montagna bianca», come si traduce l’originale nome sanscrito, è nota per essere particolarmente insidiosa, molto tecnica nella sua ascesa, caratteristiche che unitamente al gelo, alla neve e al vento che a quelle quote sono la normalità la rendono un ostacolo per molti insormontabile. Non stupisce perciò che Bonalumi, commercialista e consigliere delegato di Aletti Fiduciaria, sia solamente il secondo bresciano, dopo Silvio «Gnaro» Mondinelli, ad aver potuto ammirare il mondo dalla cima del Dhaulagiri. Come si diceva però raggiungere tale traguardo è stata una sfida, sì con la natura ma soprattutto una continua lotta con i limiti umani.
Partito ad inizio settembre alla volta del Nepal, con un lungo trekking di avvicinamento, Bonalumi è arrivato al campo base a 4.800 metri. Dopo un logorante lavoro di predisposizione dei tre campi in quota (campo 1 a 5.800 metri, campo 2 a 6.500 e campo 3 a 7.400) e della necessaria fase di acclimatamento, il 28 settembre è iniziata la lenta salita finale, resa ancora più ardua dalle fitte nevicate, tant’è che valanghe hanno continuato a flagellare il tracciato nei giorni precedenti. La cordata è però comunque ripartita dal campo base per poi fermarsi al campo 2. Una notte in tenda e poi di nuovo salita con Bonalumi che ha così raggiunto il campo 3 accompagnato da alcuni sherpa nepalesi e da due alpinisti valdostani compreso Marco Camandona (decimo ottomila). Poche ore di riposo e via all’attacco finale del Dhaulagiri.
Un insidioso traverso sotto la vetta, un ripido canale da risalire e l’affilata cresta finale sono stati gli ultimi ostacoli. Sulla cima, a 8.167 metri, il mondo è diverso e solo poche persone nella vita possono raccontare ciò che significa guardare la Terra dall’alto in basso. L’assoluto però è durato pochi istanti perché poi era già tempo di affrontare la discesa, una fase pericolosa per la stanchezza e l’inevitabile calo di concentrazione. «Non ho dormito per 36 ore tra ascesa e discesa - racconta Bonalumi, alla seconda esperienza himalayana dopo il Manaslu nel 2019 e numerose altre scalate extraeuropee, direttamente dalle alture del Nepal dove le conversazioni telefoniche sono effettuabili solo via satellite -. È quasi scontato dire che è stata dura, il freddo e la neve hanno reso tutto più difficile. È però una soddisfazione immensa essere riuscito a raggiungere la vetta».
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