Gli studenti del Campus Canossa diplomatici «in erba» all’Onu
C’è chi si è ritrovato a vestire i panni della poverissima Haiti, come Caterina; e chi, come Marco, ha dovuto adottare il punto di vista del Kuwait. Dorothea ha lavorato per risolvere la questione dei diritti delle minoranze nell’Africa subsahariana; mentre Matteo ha contribuito a scrivere una risoluzione dedicata alle industrie farmaceutiche nei Paesi in via di sviluppo. Non è stata una gita - men che meno una passeggiata - quella che ha visto protagonisti 33 studenti delle scuole del Campus Canossa. Dal 19 al 27 marzo sono volati a New York per vestire i panni di delegati Onu. Ad accompagnarli due docenti d’inglese, Marta Badini ed Emanuela Bonfanti, e il professor Massimo Serra.
Impegno
Uno stage alle Nazioni Unite - nell’ambito del progetto «NhsMun», la più grande e prestigiosa simulazione diplomatica per studenti di scuole superiori - che ha preso le mosse già a dicembre, quando per gli studenti è cominciato un impegnativo corso di formazione per imparare l’arte del public speaking, padroneggiare le tecniche di negoziazione e dominare le procedure diplomatiche. Non solo. «Prima di partire - spiega Dorothea - abbiamo dovuto preparaci sui temi specifici della Commissione cui siamo stati assegnati e sulle caratteristiche del Paese che siamo stati chiamati a rappresentare. Un lavoro impegnativo, che ha richiesto tanto approfondimento. Non sempre le informazioni erano reperibili su internet».
Perché gli studenti, nel corso di intense giornate di lavoro a New York, si sono calati nel ruolo di ambasciatori e diplomatici e, in questa veste, hanno preparato bozze di risoluzione e negoziato con avversari e alleati. Rigorosamente in lingua inglese, necessariamente in abbigliamento formale (pena l’esclusione) e confrontandosi con coetanei provenienti da tutto il globo secondo le «regole del gioco» della politica internazionale.
«Abbiamo imparato moltissimo - dice Vittoria -. Nessuno ha preso il compito che avevamo alla leggera: c’era un clima di grandissima collaborazione e serietà». «Non mi aspettavo sembrasse così reale - le fa eco Elisabetta - . E invece sembrava di far proprio parte di riunioni formali con dinamiche di gruppo evidenti: fin da subito appariva chiaro chi sarebbe stato il leader». «Mi aspettavo conflitti e dibattiti accesi - aggiunge Laura - e invece i lavori si sono svolti sempre in un clima di grande rispetto». «Per la prima volta - confessa Emma - ho sentito di aver contribuito con le mie parole a fare la differenza».
In gioco
Già perché fra le sfide che i giovani bresciani hanno dovuto affrontare c’è stata quella di esporsi, condividendo le proprie idee davanti ad ampie platee con decine di coetanei preparatissimi. «Mi ha stimolato l’entusiasmo di ragazzi giovanissimi nel buttarsi» dice Chiara. «Vicino a me - conferma Jacopo - c’era questo ragazzino americano che prendeva pagine di appunti e poi recitava a memoria interventi articolati. Ho capito che se non ti metti in gioco rischi che gli altri ti surclassino sempre». «Non è stato facile all’inizio - confessano Filippo, Federico e Caterina -. Ma una volta presa la parola abbiamo notato che negli altri c’erano grande rispetto, comprensione e nessun giudizio. È una bella sensazione quella di essere ascoltati ed entrare a far parte di un pensiero che si sta sviluppando».
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Una tappa indimenticabile per i ragazzi, tanto più - spiegano Pietro e Ilaria - «per noi che dall’Italia abbiamo dovuto affrontare un lungo viaggio, proiettandoci in un’esperienza di immersione totale». Che ha mostrato loro l’altra faccia di un mondo dove la Bielorussia è uno degli stati più influenti, la Corea del Nord e del Sud cooperano per il bene comune e un unico blocco riunisce Russia, Cina e Usa. «Un mondo dove tutti possiamo collaborare per risolvere qualcosa di più grande noi».
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