Giustizia, la riforma e il rischio «di anteporre quantità a qualità»
Una riforma della giustizia realizzata sull’onda del populismo e di un «dibattito drogato perché solo polemico» (parole di Claudio Castelli, presidente della Corte d’Appello di Brescia), rischia di ritorcersi contro coloro i quali quella riforma è rivolta: noi stessi, i cittadini. Siamo noi, infatti, a chiedere processi più celeri (o meglio lo chiede la politica per conto nostro), e siamo sempre noi a chiedere una giustizia più giusta.
Ma può esistere una giustizia infallibile? Le soluzioni in discussione in Parlamento (riforma Cartabia) e i quattro quesiti referendari cui siamo chiamati il prossimo 12 giugno, risolveranno questi problemi?
«Con questi presupposti – è convinto il procuratore della Repubblica di Brescia, Francesco Prete – siamo portati dal Legislatore ad esercitare l’azione penale solo quando è prevedibile la condanna e ad archiviare di più». Il rischio, in sostanza, è che i cosiddetti reati «bagatellari» - parola utilizzata dal procuratore generale Guido Rispoli - quelli cioè di minore rilevanza sociale, non saranno perseguiti. È questo quello che chiediamo? Della «cultura del dato» si è discusso ieri nell’aula polifunzionale del palazzo di Giustizia di Brescia, per una riflessione sullo stato della giustizia penale alla luce dei dati statistici, moderata da Pierpaolo Prati, giornalista del Giornale di Brescia
I numeri, appunto, che rischiano, stando a quando emerso nel corso del dibattito, di sterilizzare parte dell’azione penale e quindi di privilegiare la quantità del dato giuridico, alla qualità della giustizia. «Per conto mio – ha precisato il procuratore Rispoli – non esistono reati minori, soprattutto per chi subisce un torto e chiede giustizia». Sulla bilancia vanno quindi correttamente soppesati qualità e quantità, efficienza, calcolata solo col il mero dato numerico, ed efficacia dell’azione penale, la capacità cioè di soddisfare la domanda di giustizia che viene dal basso.
«Se un processo finisce con l’assoluzione dell’imputato – ha chiarito il presidente Castelli – non vuol dire che quel processo era inutile o sbagliato. In un dibattimento contano molto l’abilità delle parti, dell’avvocato o del pm». Sull’importanza dei numeri si è concentrato l’avvocato Andrea Cavaliere, responsabile dell’Osservatorio acquisizioni dati giudiziaria dell’Unione Camere penali, convinto che «qualsiasi riflessione seria sullo stato della giustizia non possa prescindere dai dati statistici. Solo con dati scientifici alla mano si possono adottare le giuste contromisure per risanare una giustizia malata».
Concetto ribadito dal presidente nazionale delle Camere Penali Gian Domenico Caiazza. Giustizia bresciana. A proposito di dati, il presidente del Tribunale di Brescia, Vittorio Masia, si è soffermato sull’efficienza della giustizia bresciana «che riesce a definire – ha detto – circa il 90% delle pratiche. Il dato sull’accumulo è sotto la media nazionale. Ma si può sempre migliorare».
Come? Alla Procura di Brescia giungono ogni anno circa 50mila notizie di reato, metà da ignoti, 24mila da persone note. Ma i processi, in dodici mesi, sono meno di cinquemila. «Nel nostro distretto – ha concluso il procuratore generale Guido Rispoli – c’è grande sintonia tra magistratura e avvocatura e grandissimo impegno. Le disfunzioni della giustizia non dipendono dalle persone, ma dagli scarsi investimenti in uomini e mezzi. Serve quindi una visione diversa, un salto di mentalità in chi ci governa che ha pochissima sensibilità in questo».
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