Gemma Calabresi: «Prego ogni giorno per chi ha ucciso mio marito Luigi»
Quel giorno di maggio di cinquant’anni fa, quando il commissario Luigi Calabresi venne assassinato davanti alla sua abitazione da esponenti dell’allora formazione extraparlamentare Lotta Continua, una madre e una figlia si affacciarono alla finestra e videro. E la madre: «Vieni, preghiamo per loro». Loro erano la famiglia Calabresi. La moglie Gemma, due figli piccoli e un altro in grembo. «Non avevamo sentito gli spari, perché il nostro appartamento era nel lato interno del palazzo» dice Gemma che, ieri, ha raccontato questo episodio ad oltre cento ragazzi del programma di studio e formazione dell’Opera per l’educazione cristiana. Accolta dalle parole di Pierpaolo Camadini, presidente dell’Opera e salutata da quelle del vicepresidente, nonché delegato del corso di studio, Michele Bonetti, Gemma Capra Calabresi Milite è stata sollecitata da Nunzia Vallini, direttore del Giornale di Brescia, a parlare di perdono e riconciliazione.
La riflessione
Partendo dal suo ultimo libro, «La crepa e la luce. Sulla strada del perdono. La mia storia» edito da Mondadori, nel quale ripercorre il dolore lacerante che ha provato alla notizia della morte violenta del marito - la crepa, appunto - e la sensazione, tanto profonda quanto inspiegabile, di pace provata poco dopo. Tanto che ha detto al parroco, che le era accanto: «Recitiamo una preghiera per la famiglia dell’assassino perché avrà un dolore molto più grande del mio». La luce, appunto. «Il segno che qualcuno mi apriva la strada e testimoniava per me. Quella mattina ho ricevuto il dono della fede. Una fede che non toglie il dolore ma lo riempie di significato, dà forza, non ti fa sentire solo e ti dà la speranza».
L’analisi degli studenti
I ragazzi che hanno ascoltato Gemma Calabresi stanno svolgendo un lavoro di ricerca durante il loro cammino scolastico dedicando tempo a pensare anche a qualcosa che vada oltre la didattica. Tempo prezioso, come quello «speso» nel pomeriggio di ieri al Centro studi dell’Istituto Paolo VI a Concesio. Dopo l’intervista, si sono ritirati in cinque gruppi per poi condividere le riflessioni con Gemma Calabresi. Lei: «La vostra profondità di analisi mi rafforza nelle mie convinzioni di ottimismo e di fiducia nel futuro». Fiducia e fede, due parole che hanno la stessa radice e che dal 17 maggio 1972 sono state protagoniste della vita di Gemma, tenendola per mano nel cammino, aiutandola a rialzarsi, scongiurando lo sconforto quando i passi percorsi venivano vanificati da episodi di odio e delegittimazione nei confronti del marito assassinato. Sulla strada del perdono, un ruolo fondamentale l’ha avuto la preghiera.
La forza della preghiera
«Bisogna essere credenti per pregare?» le ha chiesto un ragazzo al termine del pomeriggio. «Se non credete che serva pregare, provate a essere possibilisti e a ipotizzare che invece serva. Provate a parlare con Dio e vedete cosa succede. Anche chi non ha fede può amare e perdonare chi gli ha ucciso il marito. Si può imparare a guardare le persone in tutta la loro vita, la loro storia, la loro sofferenza. Allora si diventa meno giudicanti e si può imparare a perdonare andando oltre l’offesa o lo sgarbo perché le persone sono molto altro rispetto al male che hanno commesso».
Gemma Calabresi ha iniziato il percorso di perdono dopo la sentenza di condanna degli autori e dei mandanti dell’assassinio di Luigi. Sentenza arrivata dopo undici anni di processo, il più lungo dal nostro dopoguerra. «La verità e la giustizia che emergono dalle udienze sono importanti: si mette la parola fine ad un percorso, ma non significa dimenticare. Il perdono è un cammino che non è frutto del ragionamento, ma viene dal cuore. Il libro è una storia di amore e di pace. Un cammino che non volevo tenere per me, perché l’abbiamo compiuto insieme».
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