Fontana: «La zona rossa è più una questione psicologica»

«Poche differenze con l'arancione rafforzato» ha detto il governatore. Ma Del Bono e Alghisi chiedono più restrizioni
Il governatore Fontana sulla zona rossa
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«Vorrò vedere le decisioni che verrano prese dal Cts per cercare di capire come intenda muoversi il governo. Devo anche sottolineare che tra l’arancione rafforzato e il rosso non è che ci siano grandi differenze, qualcuno dice sia più una questione psicologica ed è vero. Il punto è che dobbiamo rispettarle queste prescrizioni».

Così il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, oggi in città per visitare il centro vaccinale di via Morelli in città e quello di Chiari, ha risposto ai cronisti che gli chiedevano se, visti i numeri dei nuovi casi Covid positivi e le terapie intensive sature, la Lombardia sia prossima a un passaggio in zona rossa.

I numeri, per quanto riguarda il Bresciano, sono da zona rossa almeno dal 16 febbraio, ossia da tre settimane. Il monitoraggio della settimana 8-14 febbraio fissava a 258 i casi ogni 100mila abitanti nel Bresciano, già oltre la soglia di 250 superata la quale si dovrebbe andare nella fascia con le restizioni più severe.

Il 23 febbraio, mentre la Lombardia rimaneva in zona gialla, per il Bresciano e alcuni comuni di confine della Bergamasca è stato istituito l'arancione rafforzato: oltre alle limitazioni di base previste per la zona arancione (tra cui i negozi aperti), sono state chiuse le scuole di ogni ordine e grado, con i soli nidi che hanno riaperto a distanza di una settimana, mercoledì 3 marzo, ed è stato posto il veto di raggiungere le seconde case.

Sin da subito è stato chiaro che gli effetti della fascia arancione scuro non sarebbero arrivati tanto presto: dopo un anno di pandemia sappiamo che ci vogliono almeno due o tre settimane per vedere significativi segnali di miglioramento.

La Terapia intensiva del Civile - Foto © www.giornaledibrescia.it
La Terapia intensiva del Civile - Foto © www.giornaledibrescia.it

Tralasciando il dato di ieri, che è poco significativo perché i dati del lunedì tengono conto di un numero di tamponi eseguiti inferiore rispetto a quello degli altri giorni della settimana, il Bresciano ha registrato nei cinque giorni precedenti nuovi positivi giornalieri ben oltre quota mille. Il record spetta al 3 marzo, quando i nuovi casi sono stati 1.325, poi abbiamo oscillato tra i 1.114 del giorno successivo e i 1.228 di domenica.

Come più volte detto nel corso di questo anno di pandemia, stiamo parlando dei numeri assoluti, che senza un rapporto con il numero corretto di tamponi eseguiti (bisogna infatti distinguera tra primi test e test di controllo, così come tra nuovi positivi e positivi ri-confermati) non consentono di avere il quadro più chiaro possibile della situazione. Di certo, comunque, ci dicono che è grave.

La conferma arriva dalla saturazione delle terapie intensive degli ospedali bresciani (nell'Asst Spedali Civili il 5 marzo i letti occupati in rianimazione erano il 97% del totale) e dal numero dei ricoverati, oltre 1.200 in tutta la provincia.

«Anche oggi abbiamo trasferito 30 pazienti da Brescia verso altre realtà regionali» ha detto nel pomeriggio Alberto Zoli, direttore generale di Areu Lombardia, nel corso della presentazione del treno sanitario alla Stazione Centrale di Milano.

A questo si aggiunge il monitoraggio settimanale: tra l'1 e il 7 marzo i nuovi casi nel Bresciano sono stati 7.340, per un'incidenzia di 584 casi ogni 100mila abitanti. In due settimane, dunque, il numero di questo indicatore è raddoppiato, andando ben oltre la soglia d'ingresso nel colore rosso.

Venerdì il governo centrale, sulla base del monitoraggio settimanale, deciderà se la Lombardia resterà in arancione rafforzato come deciso da Regione lo scorso giovedì o se invece scatterà la zona rossa.

Sulla singola provincia invece può agire il governatore, secondo il quale però la differenza tra i due colori è più che altro una «questione psicologica».

Del Bono e Alghisi: «Necessarie misure più severe»

Intanto in giornata sia il sindaco di Brescia, che sabato ha toccato il picco dei casi da inizio pandemia con 186 positivi in 24 ore, ha affermato che «il contagio nella nostra provincia è ormai diffuso in modo omogeneo. Ci sono dati preoccupanti e credo che maggiori restrizioni sarebbero auspicabili». «Bisogna stringere i denti - ha spiegato Emilio Del Bono - almeno finché non entra nel vivo la campagna vaccinale in modo massiccio».

Oltre al sindaco di Brescia, anche il presidente della Provincia, Samuele Alghisi, ha avuto un colloquio con Fontana al quale ha ribadito il ruolo importante del territorio e dei sindaci anche per far fronte alle falle del sistema di prenotazione dei vaccini. «I sindaci hanno allestito gli hub per le vaccinazioni e si sono dovuti sostituire al sistema di prenotazione chiamando direttamente i loro cittadini. Ma non si può sempre lavorare in emergenza. Ho chiesto al presidente - ha concluso Alghisi - di affidarsi al territorio e ai sindaci».

Sia Del Bono che Alghisi, nei giorni scorsi e nelle scorse settimane, avevano chiesto di avere dati più precisi e puntuali per avere un quadro più definito del reale andamento della pandemia nella nostra provincia, e avevano anche avanzato la richiesta di destinare più vaccini al Bresciano, proprio per via di quei numeri da zona rossa.

 

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