Femminicidio di Agnosine, le motivazioni: «Ha ucciso la moglie e se n’è vantato»
Ha annunciato che l’avrebbe uccisa, l’ha fatto, se n’è vantato con «orgoglio e sadismo» con una delle figlie e poi, ancora sporco di sangue, l’ha confessato ai carabinieri.
Mesi dopo, a processo, ha cercato di dimostrare di non aver premeditato quelle quaranta coltellate che il 13 settembre di due anni fa hanno stroncato Giuseppina Di Luca. Ma anche di non averle somministrato, e di non aver somministrato nemmeno alle sue figlie, quel «rosario di angherie» che di fatto hanno portato la donna lontano da casa e alla decisione di chiedere il divorzio.
Il suo tentativo non è andato a buon fine: lo scorso 13 luglio Paolo Vecchia, il 54enne di SabbioChiese in carcere da quasi due anni per aver ucciso la moglie è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno di sei mesi.
Per i giudici della Corte d’assise tra gli elementi di prova raccolti dal sostituto procuratore Carlotta Bernardini e dai carabinieri di Salò ci sono infiniti elementi che provano tanto la premeditazione, quanto i maltrattamenti. Ci sono infinite manifestazioni di un «substrato umano irrispettoso e prevaricatore, sintomatico - scrive il presidente Spanò - di un radicato atteggiamento vessatorio».
I maltrattamenti
Le motivazioni della sentenza - una quarantina di pagine in tutto - complice la confessione di Vecchia e l’azzeramento dei dubbi circa la paternità del delitto, liquidano in poche righe la ricostruzione dell’omicidio. Dopo aver affermato che il «movente va individuato nella prostrazione provata dall’uomo a fronte della prospettiva, divenuta ormai assai concreta, del definitivo sgretolamento del rapporto di coppia, da lui vissuto acriticamente come un’ingiustizia, pur a fronte di una sequela di eventi che da tempo avevano reso per la Di Luca intollerabile la convivenza», il presidente Spanò si concentra sui reati satellite, i maltrattamenti inflitti alla donna e alle due figlie, e sulle aggravanti: la premeditazione e la crudeltà.
«Il Vecchia - si legge nelle motivazioni - non ha esaurito la propria energia distruttiva nell’agguato mortale teso alla moglie, lasciandola agonizzante lungo le scale della casa di Agnosine, ma ha infierito sulle figlie sfogando anche su di loro il livore accumulato nel passato, rivendicando, con “orgoglio” misto a sadismo l’uccisione della genitrice al cospetto di una delle due ancora in dormiveglia. "Ti ho ucciso tua madre proprio come ti ho promesso... Se’, l’ho copada, l’ho copada”».
Secondo la Corte d’assise questi episodi sono «talmente esecrabili e gretti» scrive il presidente Spanò da fornire di per loro la prova dei maltrattamenti. La loro prova è anche nelle testimonianze delle amiche delle figlie che avevano vissuto casa Vecchia e gli umori dell’uomo e di quelle cui le ragazze avevano confidato le loro paure e le violenze fisiche e psicologiche subite dal padre, ma anche la registrazione di una telefonata nella quale, due settimane prima dell’omicidio, Vecchia e Giuseppina Di Luca discutono: lei esclude categoricamente un ritorno a casa, la possibilità di una riconciliazione, nemmeno di fronte alle promesse dell’uomo che chiede scusa per tutto quello che ha fatto e promette un cambiamento.
La premeditazione
Nessun dubbio nemmeno con riferimento alla premeditazione. Vecchia - sottolineano i giudici - oltre ad aver minacciato di morte la diretta interessata non aveva fatto mistero delle sue intenzioni anche tra amici e conoscenti. Sono in tutto una decina le persone che hanno raccolto i suoi «sfoghi premonitori», ma nessuno lo aveva preso sul serio «ritenendo che le affermazioni smodate fossero dovute ai limiti culturali e alla sua rusticitas, piuttosto che ad un reale conato vendicativo». Vecchia ha sostenuto di aver avvicinato Giuseppina quella mattina nel tentativo di convincerla a tornare sui suoi passi, non con l’intenzione di ucciderla. Ha spiegato la presenza dei due coltelli con la necessità di avere con sé «armi di convincimento». Armi che non hanno convinto la donna e tanto meno i giudici della Corte d’assise.
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