Fase 2, la psicoterapeuta: «Riprendiamoci la vita che vorremmo»
Cresce il numero di persone che raggiungono il Pronto soccorso lamentando stati d’ansia, di agitazione, o anche di inappetenza. Condizioni mai sperimentate prima. C’è anche questo, dopo il lockdown.
Il Covid ha trascinato con sé moltissime vite e il coprifuoco da coronavirus ha portato via a ciascuno una grossa fetta di libertà. La maggioranza delle persone ha sofferto, e in Fase 2 anela a recuperare la vita di un tempo. Molti altri restano spiazzati. La paura del ritorno alla normalità è crossover, e interessa anche i giovani, se è vero che - stando a recenti studi - un quinto degli adolescenti e dei ventenni manifesta resistenze a uscire dalla propria casa.
Ne abbiamo parlato con Roberta Mor, psicoterapeuta bresciana.
Uscire con senso di responsabilità, fronteggiare la paura. Come si affrontano queste inedite sfide?
«Nella Fase 1 eravamo protetti da regole rigide imposte dall’alto. Ciò ha avuto un effetto rassicurante. Gli esseri umani desiderano una maggiore libertà, ma maggiore libertà implica una maggiore responsabilità e questo, spesso, ci mette in difficoltà».
Paura: chi non ne ha non vede l’ora di rituffarsi nella vita, chi ne ha resterebbe volentieri ancora a casa...
«La paura è un’emozione che necessita di una gestione accorta e delicata. La sua funzione essenziale è quella di assicurare la nostra sopravvivenza. Quando ce n’è troppa, la paura diventa un’emozione paralizzante, che induce la sensazione di dover rimanere al sicuro, anche se con le spalle al muro. E impedisce, di fatto, di vivere. Quando ce n’è troppo poca, perde la sua naturale funzione protettiva e questo ci espone a rischi e a pericoli. Nella Fase 2 è essenziale un giusto dosaggio della paura. Dobbiamo ricominciare a vivere e a sperimentare le nostre libertà. Ma non dobbiamo dimenticare che il virus non è sconfitto e dobbiamo averne paura, usando questa emozione per adottare tutte le precauzioni per non correre rischi inutili. Per non vanificare gli sforzi fatti fin qui».
Il lockdown ha generato in molti una sorta di claustrofobia emozionale. Per altri, è stata culla di una rinascita, motore primo di un ritorno a ritmi più sostenibili...
«C’è chi si è trovato di fronte a veri e propri regali, vivendo l’isolamento come un momento di rinascita, di quiete, di osservazione, di presa di distanza da tante cose prima ritenute essenziali e ora scoperte come superflue. Queste persone potrebbero sentirsi dispiaciute e nostalgiche verso quei momenti, preoccupandosi di perdere questa dimensione raggiunta. Ma il lockdown è solo una circostanza. Se abbiamo scoperto delle risorse e le abbiamo utilizzate, significa che queste sono nostre. Non è il lockdown ad aver creato in noi un cambiamento. Il cambiamento l’abbiamo attuato noi stessi. È possibile trovare nuovi ritmi, magari più consapevoli, e condivisi con le persone che amiamo».
Cosa, o chi c’è sull’altra faccia della medaglia?
«C’è chi ha scoperto di non avere interessi o passioni coltivabili in casa. C’è chi ha scoperto di non avere con il proprio partner una relazione di amore o anche solo di supporto. Alcuni di noi hanno scoperto che la vita che stavano conducendo non li rendeva felici. Hanno scoperto, di colpo, in modo intenso, di vivere una vita frustrante, priva di bellezza, passioni, sentimenti, interessi. Spesso la coppia e la famiglia si sono rivelate il teatro di questa "tragedia". In Cina, al temine del lockdown sono aumentati i divorzi. Io non credo che aver vissuto il lockdown come un momento di grave crisi debba condurre ad azioni e a scelte reattive ("Non ti sopporto più, adesso che posso uscire me ne vado!"), ma credo che l’investimento più grande che possiamo fare è quello di utilizzare le sensazioni che abbiamo provato e i pensieri che abbiamo formulato come un indicatore sul grado di soddisfazione relativa a noi stessi e alle vite che stiamo conducendo. Non voglio fare un discorso alla Pollyanna, un’ostinazione a vedere il bicchiere mezzo pieno, ma forse quella che ci è capitata è un’occasione per pensare di poter "aggiustare il tiro" di una vita che non ci rende soddisfatti. E questo può avvenire come una riflessione personale, di coppia o familiare».
Come dobbiamo interpretare la Fase 2?
«Forse possiamo intenderla come un graduale avvicinamento alla vita che ci piacerebbe condurre, sfruttando questa occasione rara, se non unica, di avere un punto zero dal quale ripartire».
Quali le difficoltà più grandi che potrebbero insorgere?
«È normale e non deve spaventare che possano nascere disturbi d’ansia più o meno intensi. Potrebbero insorgere pure disturbi del sonno, difficoltà a concentrarsi, irrequietezza, respiro corto e affannoso. In generale, quando i disturbi sono di lieve entità, hanno una buona efficacia esercizi di respirazione, yoga, meditazione, attività lente, piacevoli e rilassanti. Quando il disturbo aumenta e diventa un vero e proprio disagio è importante chiedere aiuto. Tra i numeri verdi attivi, ricordo il 338/5036074, attivato dal Gruppo Psicologi per il Welfare del Comune di Brescia».
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