Farmaci letali, la difesa di Mosca: «Propofol somministrato a paziente già morto»
«Nel paziente non sono state trovate tracce di Propofol nel cervello. Ritengo quindi che sia stato somministrato quando la persona era già morta». È la conclusione alla quale è arrivato il professor Luigi Alberto Pini, uno dei consulenti della difesa del dottor Carlo Mosca, il medico - sospeso - del Pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari, arrestato con l’accusa di omicidio volontario per la morte di due pazienti covid durante la prima ondata.
La conclusione dei consulenti della difesa
Secondo l’accusa Mosca avrebbe somministrato farmaci incompatibili con la vita e che di solito vengono utilizzati per intubare un paziente. In un paziente, nel corso dell’autopsia effettuata dopo la riesumazione della salma, vennero trovate tracce di Propofol. «Non nel cervello e la morte attraverso il Propofol subentra proprio nel momento in cui il farmaco arriva al cervello. Sono ragionevolmente sicuro che sia stato somministrato da morto» ha spiegato l’equipe medica nominata dalla difesa per la consulenza medica.
Le parole di Mosca
Durante il processo, nell’udienza in cui l’imputato aveva deciso di sottoporsi all’esame, il dottor Carlo Mosca aveva detto: «Non metto in discussione che sia stato trovato il Propofol nel corpo del paziente Angelo Paletti durante l’autopsia, ma non so darmi spiegazione. Alla mia presenza non è stato usato il Propofol, non si è somministrato. Qualcuno ce lo ha messo. A mia insaputa chiunque poteva utilizzarlo, magari qualcuno a cui non stavo simpatico. Io sicuramente non l’ho messo».
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