Farmaci letali, la collega: «Nessun peso alle voci sul primario»
Dopo gli infermieri è toccato ai medici, suoi colleghi, testimoniare al processo per duplice omicidio volontario a carico di Carlo Mosca, primario facente funzione del pronto soccorso di Montichiari.
Interrogati su quei giorni del marzo 2020 durante i quali il reparto finì in apnea sotto la prima ondata di Covid i testimoni non hanno fornito elementi in grado di corroborare l’ipotesi accusatoria e dimostrare che Mosca non solo abbia somministrato farmaci letali ad almeno due dei suoi pazienti, ma anche che l’abbia fatto allo scopo di uccidere. La dottoressa Luisa Carminati, medico del pronto soccorso dell’ospedale monteclarense, ha riferito di divergenze con Mosca sul dosaggio dei farmaci per la terapia del dolore, ma anche detto di non ricordare di aver affidato, in quel terribile mese di marzo, un paziente al dottor Mosca in condizioni difficili, ma tutto sommato accettabili, e di aver saputo del suo decesso poche ore dopo. La dottoressa ha fornito un perché a quelle morti repentine. «Col tempo abbiamo capito che questi pazienti tendevano a sviluppare embolie polmonari».
La collega del dottor Mosca ha infine riferito di non aver dato alcun peso ai sospetti che circolavano sul primario. «Quando ho sentito quelle voci - ha detto la dottoressa Carminati, che ha confermato un certo malumore tra gli infermieri riguardo ai turni - non ci ho creduto. Non ho detto a chi le aveva messe in circolo di smettere, non avevo sufficiente confidenza con loro. Al dottor Mosca ho invece detto che c’era chi indagava sul suo conto; lui mi chiese chi gli voleva così male. Gli riferii che le voci erano partite dagli infermieri».
Nel corso dell’udienza di ieri è stato sentito anche il maresciallo del Nas che ha compiuto le indagini sul campo. La difesa del primario gli ha chiesto di confrontare il rifornimento dei farmaci che per l’accusa Mosca avrebbe usato per uccidere i suoi pazienti tra i primi quattro mesi del 2019 e quelli del 2020, finiti al centro dell’inchiesta. I numeri letti in aula non permettono di chiarire se, come sostenuto dall’accusa, in quei giorni vi sia stato un consumo anomalo.
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