Estorsione con metodo mafioso, annullata la condanna di Sorrentino
La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia la sentenza di condanna a carico di Massimo Sorrentino, titolare della pizzeria «Tre Monelli» di via Don Vender, e di Marco Garofalo, con riferimento a tre capi di imputazione che la Direzione distrettuale antimafia di Brescia aveva contestato loro tanto in primo grado quanto in appello e per i quali i due erano stati condannati rispettivamente a 13 anni e 5 mesi e a 7 anni e 4 mesi di reclusione, in continuazione con altri reati, tra i quali alcuni episodi di ricettazione.
I giudici della Suprema Corte hanno accolto i ricorsi dell’avvocato Gianbattista Scalvi, difensore di Sorrentino, e degli avvocati Stefano Forzani e Carlo Taormina, legali di Garofalo.
In particolare hanno annullato la condanna incassata dai due imputati per due estorsioni tentate, una delle quali aggravata dal metodo mafioso, e per detenzione di sostanza stupefacente. I fatti risalgono al periodo compreso tra l’agosto del 2015 e il luglio del 2018
Secondo grado
Il processo d’appello si dovrà rifare per l’estorsione che per gli inquirenti Sorrentino e Garoalo tentarono a danno di Frank Serramondi. Per gli uomini della Squadra Mobile e della Dda, i due cercarono di farsi dare dal commerciante ucciso alla Mandolossa nella sua pizzeria al taglio l’11 agosto del 2015, 15mila euro in cambio della loro protezione. Per l’accusa Sorrentino e Garofalo prospettarono il loro intervento come l’unica chance che aveva Serramondi per proseguire la sua attività: «facciamo piazza pulita degli spacciatori davanti al tuo locale, ma tu ci devi 15mila euro».
Un nuovo processo d’appello sarà necessario anche per i 30mila che i due imputati, per l’accusa, avrebbero preteso dall’aggiudicatario di un appartamento battuto all’asta e appartenuto ad un commercialista amico degli amici.
Dietro la minaccia di gravi conseguenze per l’incolumità fisica sua e dei suoi famigliari, ma anche con continui riferimenti alle presunte ritorsioni organizzate da persone affiliate alla ’ndrangheta - per le quali il commercialista esecutato a loro dire avrebbe lavorato - e prospettando come unica soluzione la loro mediazione, i due riuscirono a gettare nell’ansia la loro vittima, che invece di mettere mano ai suoi conti e pagare, però si rivolse alla Polizia e denunciò quanto accaduto, facendo scattare l’inchiesta.
Respinti
In attesa di leggere le motivazioni della Cassazione, una cosa si può dire: gli ermellini hanno accolto i motivi di appello formulati dell’avvocato Scalvi. Il difensore di Sorrentino aveva eccepito la legittimità di alcune testimonianze, in particolare le modalità con le quali furono assunte a processo.
La Corte di Cassazione ha rigettato tutto il resto: a partire dai ricorsi degli stessi Sorrentino e Garofalo con riferimento alla corruzione dell’ispettore di Polizia Enzo Origlia, messa in atto per avere da quest’ultimo informazioni ricavate dalla banca dati Sdi; ma anche ad un’altra tentata estorsione aggravata cui era collegato l’incendio dell’auto della persona estorta. Per i giudici della Suprema Corte sono inammissibili anche le istanze dello stesso Origlia, ma anche quelli di Dejan Nedeljokovic e di Antonio Garofalo. Le loro condanne a 7 anni, 6 anni e 6 mesi sono diventate così definitive.
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