Due quaderni per lasciare i propri pensieri al giudice

Enrico Consolandi ha voluto appenderli fuori dal suo ufficio in Tribunale: «Ho a che fare con persone, non con numeri»
I quaderni nel corridoio del Tribunale - © www.giornaledibrescia.it
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Un quadernetto azzurro e uno rosa. Uno per i pensieri felici, l’altro per quelli infelici. Al passaggio di avvocati e utenti fanno il pendolo, insieme ad una matita, dal segnaposto che indica l’ufficio del giudice Enrico Consolandi, presidente della Terza Sezione del Tribunale civile di Brescia; quella, per intenderci, che si occupa del diritto di famiglia, quindi di separazioni, divorzi, affidi. La sezione alla quale, per dirla con le parole dell’inquilino di quell’ufficio, «si rivolgono persone che almeno una pesante sconfitta nella vita l’hanno patita».

Ad accompagnare la pensata c’è anche una spiegazione. «I due quaderni che trovate appesi qui sotto - recita il foglio di istruzioni affisso fuori dalla porta del giudice, al terzo piano del Tribunale - servono per manifestare, se volete, l’umore all’entrata o all’uscita dalle udienze o comunque in relazione al lavoro giudiziario. Leggerò i pensieri che lascerete - è ammessa la forma anonima - per conoscere le reazioni al nostro lavoro, anche emotive, di quelli che si chiamano oggi "stakeholders", ma che sono soprattutto persone. Avrò indicazioni forse anche sul modo di migliorare il servizio, se possibile. Saranno disponibili, per ancora non molto, ringrazio chi vorrà usarli».

La spiegazione del giudice - © www.giornaledibrescia.it
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Al momento sul cahier de doleances e sul suo omologo e contrario dei pensieri felici non c’è scritto granché, almeno in termini di quantità. Invidia pura per qualsiasi addetto di qualsiasi customer care. In quel vuoto, tra un avvocato che si lamenta per il rientro in ufficio dopo l’udienza e uno (ma stando al sussurrare dei corridoi sarebbe una) che esulta in vista del weekend a Zermatt, c’è una mamma che prega il giudice di occuparsi del suo caso. La donna vuole accudire il figlio maggiorenne, ma disabile e non ne ha la tutela. Tecnicamente non può, così si è presentata alla porta del giudice - forse non l’ha trovato o l’ha trovato impegnato - e ha lasciato il suo messaggio nella bottiglia.

«Se la signora non avesse scritto, il suo fascicolo forse sarebbe rimasto là sopra - dice il presidente Consolandi indicando una pila di cartellette rosa scuro - chissà quanti giorni. Invece l’ho visto e oggi stesso potrò valutarlo». Ad eccezione di quelli della mamma di cui sopra, ancora ignara però del successo del suo sos, i due quadernetti a palazzo per ora hanno prodotto per lo più pensieri... infelici. I corridoi non si limitano a sussurrare: in questo caso rumoreggiano.

«Sapevo di attirare le critiche - confida il giudice - ma non mi spaventano. Ho a che fare tutti i giorni con persone che stanno attraversando momenti difficili. Mi interessa sapere cosa pensano, cosa sentono. I loro sentimenti non possono alterare l’applicazione della legge, ma il mio modo di affrontare le loro questioni. Non credo nel giudice oracolare, che riceve gli atti ed elabora verdetti. Credo nella giustizia come frutto di un rapporto di qualità con le parti, tanto più in casi delicati come quelli che investono il diritto di famiglia».

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