Donne al lavoro, a Brescia stipendi e occupazione sotto la media
Com’è profondo il mare delle discriminazioni di genere. Sì perché il primo faro in grado di illuminare il divario tra uomo e donna - quando si riflette sul «gender gap» - è lo stipendio. E su quel fronte l’Indagine sull’occupazione femminile e maschile nelle imprese in Lombardia con più di 50 dipendenti emersa dal rapporto 2022 non offre purtroppo approdi confortevoli, anzi. Non emerge alcun sensazionale ribaltamento di realtà e di luoghi comuni: il divario salariale è a doppia cifra, nella misura del 14,8%, con gli uomini che hanno una retribuzione lorda annua pari a 33.135 euro e le donne di 28.234 euro, per lo stesso lavoro. Chi sperava che, passata la nottata della pandemia, si andasse verso magnifiche sorti progressive e che i sacrifici muliebri del periodo d’emergenza fossero un lontano ricordo dunque si sbagliava: secondo i ricercatori si sarebbe verificata una sorta di «rimozione collettiva» rispetto al periodo Covid e alle amare disparità sperimentate.
Non è solo lo stipendio il problema: lo sono le dimissioni e i motivi che le causano, i licenziamenti durante la formazione, le ragioni delle richieste di aspettativa, l’accesso al credito. Tutti temi sviscerati ieri a Milano, a Palazzo Pirelli, alla presentazione del rapporto biennale 2021/2022, promosso dalle consigliere di Parità regionali - la bresciana Anna Maria Gandolfi e Valeria Gerla - ed elaborato da Raffaello Vignali, Dario Ercolani e Marialuisa Di Bella per PoliS-Lombardia.
Analisi
Dall’analisi nelle imprese lombarde con oltre 50 dipendenti, 7.549 realtà nel 2021, emergono sia la segregazione settoriale dell’occupazione femminile (servizi sociali e personali) che la minore incidenza delle qualifiche più redditizie. Tra i dirigenti? Le donne sono meno del 32%. Il tempo determinato? Per gli uomini si trasforma in indeterminato nel 28,7% dei casi, per le donne nel 22,7%. I contratti più instabili riguardano il modo femminile. E il part-time? Uno degli indicatori decisivi: lavora a tempo parziale una donna su tre (33,1%) ma solo l’8,2% degli uomini.
Brescia, esaminando il puro dato numerico sull’occupazione, si colloca in fondo all’elenco delle lombarde. Le donne occupate nelle imprese della regione nel 2021 sono poco più di 900 mila, il 44% del totale. A Brescia ci si ferma al 40,1%. L’unica eccezione è quella rappresentata dalla provincia di Pavia, dove la presenza femminile raggiunge la punta del 54,3% e quella maschile si ferma all’inconsueta percentuale del 45,7. Non c’è da sorridere nemmeno confrontando i dati della media dei 27 paesi dell’Unione Europea (tasso di occupazione 70,1%): la Lombardia è in vantaggio per l’occupazione maschile (+1,8 punti) e in ritardo per quella femminile (-3,1 punti). E anche, restando in Italia, esaminando le dinamiche legate all’impatto del periodo pandemico, si nota che nel 2020/2021 la disoccupazione aumentò di più per le donne lombarde - 6,6% contro il 5,3 - e che con la ripresa del mercato del lavoro nel 2022 la disoccupazione femminile è scesa con meno intensità di quanto abbia fatto quella maschile.
Criticità
Il mosaico composto è interessante nella sua complessità, anche se la consigliera Gandolfi ne mette in luce le criticità: «Le aziende obbligate a redigere il rapporto biennale sono solo quelle oltre i 50 dipendenti, questo significa che manca il 97% delle imprese. Mancano i liberi professionisti. E non vengono chiesti dati qualitativi come i titoli di studio. Se questo resta un puro adempimento burocratico non si incide sulla realtà». Quali soluzioni? «Una è senz’altro la Certificazione della parità di genere, istituto per il quale dall’assessorato all'Istruzione, formazione e lavoro sono partiti 10 milioni di euro per le Pmi, con un bando "copiato" dal Governo e un’iniziativa adottata anche dalla regione Puglia».
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