Domenico Prosperi: 30 anni fa l’inferno di fuoco di via Gramsci
Tre minuti o trent’anni. Poco importa perché il valore di un uomo non si misura con il tempo che passa. Tre minuti. Quanto durò la sequenza di quella maledetta rapina, in un freddo mattino del febbraio 1988. Trent’anni, quanti ne sono trascorsi dal giorno in cui morì un poliziotto, ferito dagli autori di quel colpo. Una complicazione post-operatoria gli fu fatale, quando la sua scorza di sbirro di strada sembrava garantirgli la guarigione. Da allora il suo nome è inciso nella memoria di amici e colleghi: Domenico Prosperi. Quell’agente il cui ricordo ora, a 30 anni di distanza, la Polizia di Stato vuole condividere in modo indelebile con la città per la cui sicurezza il 33enne romano diede la vita. E lo farà intitolandogli l’aula magna della Questura, «casa» dei poliziotti bresciani, affinché la vicenda umana di Prosperi sia loro di esempio, e ponendo una targa nella strada teatro della sequenza terribile dell’8 febbraio 1988.
La rapina. Le cronache dell’epoca riportano alle 9.15 del mattino. Via Gramsci, pieno centro. Un’Audi 80 vomita sull’asfalto tre giovani ben vestiti. Sono una batteria di banditi bergamaschi. Caso vuole proprio come i due componenti della temutissima banda della Val Cavallina (tra cui il capo, Pierluigi Facchinetti) ai quali due mesi prima, gli stessi poliziotti di lì a poco chiamati a intervenire avevano teso una trappola a Polaveno mentre trasportavano un carico di armi. I tre varcano la soglia della filiale della Bpl. Due pistole e un mitra in pugno. «Questa è una rapina». Seguono due minuti da incubo per la quindicina di presenti. Poi il terzetto fugge. Nel frattempo, però, è scattato l’allarme. La Questura ha girato la chiamata a una pattuglia di agenti in borghese della Sezione antirapina della Squadra Mobile: Domenico Prosperi, un omone ciociaro, poliziotto esperto, e la sua giovane collega, Maria Angela Natali, 23 anni. I due poliziotti arrivano su un’auto civetta. Prosperi coglie qualcosa, ordina alla collega di parcheggiare più avanti, poi i due scendono a piedi. Il poliziotto capisce che se qualcosa deve accadere, accadrà in strada. E per questo manda dentro l’istituto di credito la giovane agente, tentativo estremo di proteggerla. Due malviventi hanno già raggiunto l’Audi insospettabile, il terzo, impermeabile e bavero alzato, esce dalla bussola della banca, in fondo all’androne, proprio mentre vi entra la poliziotta.
Sono passati due minuti. Ma quello più terribile deve ancora scorrere: «Via Gramsci, inferno di fuoco» titola il GdB dell’epoca. Non a caso. La poliziotta entra, intuisce, torna in strada in un lampo, scorge il malvivente incrociato estrarre un mitra e avverte i primi colpi. Allora corre e raggiunge via Gramsci, risponde al fuoco. Prosperi viene investito da cinque proiettili, ma spara senza riserve. Due banditi fuggono sull’Audi, trovata poi a Brescia 2, con fori di proiettile e una gomma a terra. L’epilogo. Ecco, a terra in via Gramsci restano uno dei rapinatori, Erminio Lorenzi, 34 anni, pedigree criminale, il bottino di circa 900 milioni di lire, e Domenico Prosperi, che pensa anzitutto a rassicurare la collega: «Sto bene» sembra dirle con lo sguardo, ma il sangue che perde racconta altro. Il bandito viene operato, si riprende, tace, va in coma, si salva.
Sarà condannato a 27 anni di carcere, ridotti a 24 in appello. Uno dei due complici - pentito e senza nome nelle cronache, perché privo di protezione - confesserà 11 anni dopo, rimediandone 10 di reclusione. Lui stesso farà il nome del terzo bandito, quello che a suo dire colpì Prosperi: Renato Facchinetti, già morto all’epoca.
L’agente lotterà undici giorni al Civile. Riceverà autorità, familiari, amici. Scherzerà con loro, nonostante le ferite e l’intervento. Penserà ancora una volta agli altri: ai colleghi assicura che donerà quanto gli verrà donato per riconoscenza dalla banca al figlio di un altro poliziotto, un bimbo di 17 mesi, per il quale urge il costoso trasferimento a Bruxelles per un delicato intervento. Quell’intervento riuscirà, ma Domenico Prosperi non lo saprà mai: un embolo è più veloce e non gli dà scampo. Muore il 19 febbraio. Il 22 dalla città si leva un lungo applauso mentre il suo feretro lascia il Duomo. Quell’applauso che nel ricordo non si spegne, anzi, ora si rinnova. Trent’anni dopo. Perché gli esempi sono per sempre. E il valore di un uomo non si misura col tempo che passa.
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