Dna, indizi e movente: i punti del processo Bossetti
Da un lato, le 158 pagine di motivazioni della condanna all'ergastolo in primo grado nelle quali il Dna rintracciato su slip e leggins della 13enne Yara Gambirasio, trovata morta il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d'Isola (Bergamo) a 3 mesi dalla scomparsa, assume la veste di «prova granitica» e «assolutamente affidabile» a carico di Massimo Bossetti.
Dall'altro, l'atto d'appello della difesa del muratore nel quale quella «cosiddetta "prova scientifica"» viene bollata come «foriera di anomalie e gravi contraddizioni», «incerta, discutibile e, quindi, inaffidabile».
È sempre sul profilo genetico di «Ignoto 1», che le indagini hanno stabilito appartenere al muratore di Mapello, che si giocherà anche la partita nel processo di secondo grado che prenderà il via stamattina davanti alla Corte d'Assise d'appello di Brescia.
I legali di Bossetti, infatti, insisteranno per chiedere di riaprire il procedimento con una perizia sul materiale genetico, istanza che non venne accolta dalla Corte d'Assise di Bergamo. Allo stesso tempo, la difesa chiederà anche altri nuovi accertamenti, come quelli sulle fibre dei sedili del furgone dell'imputato che vennero ritenute «compatibili» con quelle trovate sul corpo della ragazzina.
LA PROVA DEL DNA. Se si stima «in 7 miliardi la popolazione mondiale», ha scritto la Corte bergamasca nei motivi della condanna, «per trovare un altro individuo, oltre a Massimo Bossetti, con le stesse caratteristiche genetiche sarebbero necessari centotrenta miliardi di altri mondi uguali al nostro». Per i giudici quel Dna è la prova «regina», perché sono la «presenza» e la «collocazione» del «profilo genetico dell'imputato a provare la sua colpevolezza». Un «dato, privo di qualsiasi ambiguità e insuscettibile di lettura alternativa».
Per la difesa, invece, Bossetti «si è visto condannare senza aver mai potuto né vedere, né tantomeno verificare le risultanze» di quella prova piena di anomalie e contraddizioni, tra cui il «Dna mitocondriale appartenente a soggetto diverso dall'imputato» e l'utilizzo «di kit scaduti da mesi, ritenuti utilizzabili grazie ad una procedura di validazione mai prodotta». E ancora la «incredibile "lievitazione" dei quantitativi nei campioni passati di mano in mano» e il «palese inquinamento dei campioni».
GLI INDIZI E IL MOVENTE. La prova del Dna, poi, secondo i giudici di Bergamo, è «indirettamente» confermata «da elementi ulteriori, di valore meramente indiziante». Tra questi, la presenza del furgone di Bossetti nella zona di Brembate di Sopra in un orario compatibile con quello del rapimento di Yara, la presenza sul corpo di Yara di sferette metalliche tipiche del lavoro edilizio, i tabulati telefonici che localizzano Bossetti in quella zona, alcune intercettazioni in carcere con la moglie e le ricerche on line su «ragazzine».
A detta della difesa, invece, con questo ergastolo si è data «soddisfazione all'opinione pubblica forcaiola» e «giustificazione alle ingenti spese sostenute» nelle indagini. Non c'è stata «alcuna considerazione in ordine alle ragioni ed alle modalità dell'azione», alcun «raffronto con tracce ben più significative attribuite ad altri», nessuna «valutazione della pluralità di indizi alternativi», così «trasformando arbitrariamente» un possibile «contatto in un'aggressione omicida». Per la Corte, in realtà, il movente di quell'omicidio di «inaudita gravità» sta «in un contesto di avances a sfondo sessuale, verosimilmente respinte dalla ragazza, in grado di scatenare» in Bossetti «una reazione di violenza e sadismo».
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