Dipendenza da social e videogiochi: come e perché disintossicarsi

Spazio Off a Brescia si occupa dei ragazzi «in ritiro digitale». L'ostacolo più grande è convincerli a uscire di casa
La pandemia ha influito sulla dipendenza digitale degli adolescenti
La pandemia ha influito sulla dipendenza digitale degli adolescenti
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Chiusi in casa, ossessivamente attaccati ai social o ai videogiochi, incapaci di uscire da quell’«area di comfort» digitale che il lockdown ha garantito loro. Sono i ragazzi in «ritiro sociale» per i quali il ritorno alle relazioni in presenza è così difficoltoso da configurarsi quasi come una patologia.

«La pandemia non ha aiutato - commenta Paolo Di Marco, psicoterapeuta dello Spazio Off che a Brescia si occupa, tra l’altro, dei disturbi legati all’eccessivo utilizzo delle nuove tecnologie -. Nel mondo digitale hanno trovato un conforto che non significa benessere fisico, ma sicurezza della prevedibilità, un modo per non doversi mettersi in discussione, una schermatura rispetto alle relazioni in presenza in cui magari capita di dover rispondere a una battuta o assorbire l’aggressività altrui. E ora è difficile anche farli uscire di casa, riportarli a un rapporto con la realtà non mediato dal digitale».

Lo strumento digitale «non è negativo di per sé - aggiunge Di Marco -. Rispetto all’analogico ha modelli di rapporto differenti, utilizza un linguaggio diverso. Chi era già in ritiro sociale e ha trovato nel digitale un ambiente confortevole tende a non uscirne più, fino a sviluppare una dipendenza. Ci sono ragazzini che giocano online con amici o conoscenti, ma se uno di questi amici suona il campanello per invitarli a uscire, rifiutano. Ci sono ragazzini che passano ore su YouTube e si dimenticano di mangiare, lavarsi, vestirsi».

Prima di arrivare a questi eccessi, quando un genitore deve preoccuparsi? «Un videogioco può essere nutrimento, se si esce dalla sessione e si porta l’esperienza ludica nella vita analogica, se si racconta, se si fanno collegamenti. Ci si deve preoccupare se il gioco porta eccessivo nervosismo, se non ci sono altri interessi. Ma attenzione, un genitore di fronte a queste situazioni, non deve commettere l’errore, anche inconsapevolmente, di ingaggiare una sfida. Con chi sta troppo attaccato al digitale non si deve staccare la connessione, si deve avere il coraggio di entrare in conflitto e discutere su quanto tempo si può restare connessi.

Il problema è che piuttosto che affrontare il conflitto, i genitori lasciano andare, salvo poi reagire diventando iper normativi e innescando la reazione rabbiosa dei ragazzi. La rabbia li fa sentire in colpa perché non riescono a decodificare quello che accade, così vivono internamente una frustrazione che li porta a isolarsi ancora di più e a scatenare la reazione del genitore, in un crescendo di rabbia, violenza o autolesionismo».

La soluzione? «Proponiamo percorsi di "eduplay" invitando i ragazzi a giocare con noi per imparare un uso consapevole e misurato del gioco digitale o online. Più difficile, in questo momento, coinvolgerli nei progetti di prevenzione che facciamo sul territorio, fatichiamo a farli uscire. Ma succede anche con i genitori: è capitato che invitati ad un incontro sul tema dei videogiochi, ci abbiano chiesto, "ma non lo fate online?"».

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