Diciassettemila anziani fragili in attesa di un posto nelle Rsa bresciane
Si fa presto a dire: chiudiamo le Rsa. A dire superiamole. Il tempo di pronunciarla, e la frase si traduce in uno slogan che trova anche consenso. Certo, chiudiamo, e poi? Bisogna averli percorsi, quei corridoi. Bisogna esserci stati in quelle stanze, bisogna aver vissuto quel mondo di fatica e di sofferenza, guardando negli occhi operatori e ospiti, per sapere che «chiudere le Rsa» è una frase vuota. Un non senso.
Basterebbe, su qualsiasi polemica più o meno sterile, fermarsi alla lettura della realtà: nella nostra provincia ci sono diciassettemila persone in attesa che si liberi un posto in una delle 89 strutture autorizzate, di cui 85 accreditate a contratto nelle quali la retta viene pagata in parte dagli ospiti e in parte dalla Regione. Seimila posti circa, diciassettemila in lista. Di questi, 7.600 sono residenti a Brescia città dove i posti disponibili, e occupati, sono 1.650.
Il confronto a Brescia
«Chi pensa che si debbano chiudere le Residenze sanitarie assistenziali non sa che queste, nel frattempo, sono diventate multiservizi: dall’assistenza domiciliare, ai servizi diurni, alle residenze per le persone con un margine di autosufficienza» spiega Luca Degani, presidente Uneba Lombardia (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale), organizzazione di categoria del settore sociosanitario, assistenziale ed educativo con oltre mille enti associati in tutta Italia.
Degani è intervenuto a Brescia (con lui il presidente nazionale Franco Massi) all’incontro promosso da Uneba Brescia con un focus sulla rete dei servizi, con particolare riferimento alle persone con disabilità e agli anziani. «Non c’è alcuna guerra tra residenzialità e domiciliarità: sono due risposte diverse a bisogni differenti - è stato sottolineato dagli esperti -. Nel contesto attuale, non si può ignorare che le Rsa devono essere ripensate sia per tutelare la necessità di residenzialità protetta di persone che non sono più in grado di vivere a casa loro sia per ampliare la rete dei servizi di un’offerta che si sta ridisegnando non senza fatica, soprattutto se non si supera la divisione, ormai anacronistica, tra sanitario e sociale».
I bisogni e le risposte
E se è vero che - come sottolinea Degani - «il mondo dei servizi sociosanitari è una risposta ai bisogni della popolazione», è altrettanto vero che «ridisegnare» in modo appropriato questo mondo è il punto di partenza per superare uno storico «modello Rsa» oggi in sofferenza sia per i costi derivanti dalle condizioni di salute degli ospiti sempre più compromesse sia per la drammatica carenza di personale. È un mondo da ripensare, dentro e fuori le strutture.
Dentro, secondo un report di Uneba 2023, il costo per un anziano è di 129,42 euro al giorno, con un aumento dell’11.23% rispetto ai 116,33 euro del 2021. Pertanto, la quota minima che la Regione Lombardia dovrebbe pagare come da Lea (livelli essenziali di assistenza) salirebbe a 64,76 euro, contro gli odierni 56,70 per gli anziani malati di Alzheimer e i 54,40 per le persone più gravi e, quindi, con bisogni di assistenza maggiori.
Chi paga
«La Lombardia paga meno di quanto dovrebbe e questo divario porta i gestori a scaricare i costi non coperti sulle famiglie o sui comuni di residenza degli ospiti (quello di Brescia ha a bilancio 3,5 milioni di euro per pagare o integrare le rette degli anziani che non riescono a sostenere la spesa) che si trovano ad affrontare continui aumenti della quota alberghiera» si legge nell’annuale Rapporto dell’Osservatorio Rsa della Federazione pensionati della Cisl Lombardia. Ancora: «È indubbio che i decisori non possano più permettersi di rinviare, o di non affrontare, le molteplici sfide derivanti dall’invecchiamento della popolazione e dell’aumento dei non autosufficienti. La legge di riforma della non autosufficienza, nonostante una serie di criticità connesse alla sua concreta attuazione, va in questa direzione».
Per il momento, la legge di bilancio non prevede alcuna misura per cominciare a tradurre in pratica la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, approvata lo scorso marzo e che aveva suscitato grandi aspettative.
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