«Di giorno le facevo i mestieri, di notte la squillo in strada»
L’ha fatta arrivare in Italia da Benin City. Le ha pagato il biglietto aereo, le pratiche per il permesso di soggiorno, le ha dato vitto, alloggio e non uno, ma addirittura tre impieghi: colf e baby sitter, in una casa dell’Oltremella, e squillo alla Mandolossa.
Lei - la «fortunata» parente - per sdebitarsi di tanta «generosità» ha lavorato a ciclo continuo, senza possibilità di trattenere un centesimo, ma anche di liberarsi per un solo secondo e solo per un secondo di immaginare una vita diversa da quelle degli schiavi.
Secondo la ricostruzione fatta dalla Guardia di Finanza di Milano ha vissuto così per otto anni, fino a quando la sua voglia di affrancarsi si è mangiata tutte le sue paure, anche quelle ataviche, ingiustificate. Ha vissuto così fino a quando ha trovato il coraggio di portare a processo la sua madam, di superare il terrore di intrugli e malefici e, ieri, anche di guardare in faccia i giudici della Corte d’assise per descrivere anche a loro, per filo e per segno, l’inferno nel quale ha vissuto da quando è a Brescia.
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