Denuncia il marito, ma come mediatore trova il suo amico

È successo in una caserma dei carabinieri a una donna che da tre mesi vive in una casa protetta con i figli
Il muro delle bambole in via Gambara (2019)
Il muro delle bambole in via Gambara (2019)
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Qualcosa non ha funzionato. Anche perché con gli stessi protagonisti, nella stessa identica situazione, ma davanti ad operatori della giustizia diversi, la scelta è stata opposta.

Da una parte si è fatto finta di nulla, dall’altra invece ci si è fermati. Storia di una donna di origini africane, mamma di quattro bimbi piccoli, che da tre mesi vive in una casa protetta dopo aver denunciato i presunti maltrattamenti subiti da parte del marito ed essere riuscita a trasferirsi lontano da lui.

Pochi giorni fa, su richiesta del pubblico ministero titolare dell’inchiesta aperta per lesioni, la donna è stata convocata al comando provinciale dei carabinieri per essere nuovamente ascoltata per riferire su alcune circostanze precise. Chiede, per meglio far comprendere il suo racconto, di poter farsi affiancare da un mediatore linguistico-culturale. Davanti ai militari la donna scopre non solo che il mediatore è un uomo, ma che addirittura conosce molto bene il marito che lei ha denunciato. E naturalmente si blocca.

«Ho fatto subito presente che le linee guida della rete antiviolenza di Brescia condivise da tutti i soggetti che hanno aderito, indicano la necessità di avvalersi di personale femminile in queste situazioni» racconta Laura Fochesato, presidente del centro antiviolenza «Il cerchio della luna». E che per 35 anni ha indossato la divisa della Polizia di Stato. Si accorge subito che la donna che da tre mesi ospita in struttura protetta è in forte difficoltà. «Le chiedo cosa avesse e come mai si fosse messa in un angolo. Mi dice di conoscere il mediatore e che lo stesso conosce il marito che la maltrattava e che frequenta la comunità senegalese del paese dove lei ha vissuto fino a poco tempo fa e dove ancora vive il marito» spiega Laura Fochesato.

Scatta a quel punto la richiesta di un intervento dei carabinieri. «Mi allarmo - racconta la presidente del Cerchio della luna ricostruendo quanto accaduto - e riferisco ai carabinieri l’impossibilità di procedere all’audizione della donna perché è emersa la conoscenza tra il mediatore e il marito che la vittima ha denunciato. Non vengo ascoltata, il militare con toni accesi mi chiede chi sono dicendomi che non potevo stare in caserma e mi accompagna all’uscita». La donna viene così ascoltata nonostante la richiesta di sospendere l’attività. A precisa domanda dei carabinieri, «conosce il traduttore», risponde «no». Dirà di averlo fatto per paura. «Non potendo sapere cosa ha raccontato e cosa le sia stato chiesto sono stata costretta a trasferirla con i figli in una struttura protetta diversa da quella in cui è stata fino ad ora, perché l’indirizzo deve rimanere segreto e il timore è che il marito potesse ormai scoprirlo» aggiunge Laura Fochesato.

Da noi contattati i vertici dell’Arma fanno sapere che nessun atto con l’indirizzo della casa rifugio è stato fornito al mediatore e che comunque la situazione di incompatibilità è stata segnalata. Nel frattempo il giorno successivo la scena si ripete, ma con un epilogo diverso. La donna senegalese si presenta infatti davanti al tribunale dei minori per affrontare il percorso relativo ai figli piccoli. Anche in questo caso è prevista la presenza di un mediatore linguistico. E si presenta lo stesso professionista che conosce il marito. «Questa volta però nessuno fa finta di niente» viene spiegato. Il tribunale, informato della situazione, blocca infatti tutto e rinvia l’appuntamento ad un’altra data e con un altro mediatore linguistico.

Due pesi e due misure. E un cortocircuito che si poteva e doveva evitare.

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