Delitto da Frank: movimenti bancari nel mirino degli inquirenti
Soldi, ma anche assegni. E tanti movimenti inspiegabili. Portano verso questa direzione le indagini della Squadra mobile di Brescia e della Guardia di Finanza, al lavoro sui flussi di danaro delle vittime per capire se dietro il duplice omicidio dei coniugi Seramondi ci sia un movente diverso rispetto a quello che gli assassini continuano instancabilmente a ripetere.
Il tesoretto da 800mila euro recuperato tra le cassette di sicurezza intestate alla vittime, la casa del figlio Marco e in quella della contabile della società non ha ancora una provenienza certa. Difficile pensare possa essere solo l’incasso del lavoro di tanti anni.
Gli inquirenti si stanno ponendo nuove domande dopo il ritrovamento di una serie di assegni bancari: sono quelli della cessione da parte di Francesco Seramondi della sua attività all’ex dipendente pakistano, che l’aveva poi venduta al connazionale diventato assassino.
Assegni, relativi ad anni fa, mai incassati da Frank e ritrovati nei faldoni della contabilità dell’attività delle vittime, seguita negli anni da due commercialisti diversi. Perché non incassare tanto denaro? Per ora resta un mistero.
Ancora da chiarire, inoltre, il ruolo di Arben Corri, dipendente albanese della pizzeria di Frank rimasto ferito un mese fa in un agguato. I Seramondi lo consideravano come un figlio: i nemici, gli assassini, lo hanno accusato durante gli interrogatori di essere uno spacciatore, ma gli inquirenti negano che Arben vendesse droga nonostante in auto, al momento del ferimento, vennero rinvenute nove palline di cocaina di cui lo stesso albanese non ha saputo spiegare la provenienza.
«Forse sono state posizionate da chi lo aveva colpito per intimidire Seramondi», è la tesi investigativa. Perché dopo tanti anni, della famiglia Seramondi, il pasticciere albanese sapeva davvero tutto. Forse troppo.
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