Dario, idraulico in bicicletta ai tempi del coronavirus
«Il lavoro è sempre lo stesso: le caldaie si rompono, la gente resta al freddo e la cucina si allaga, solo che io, in molti casi, sono l’unico contatto di persone che sono chiuse in casa da un mese».
Così Dario Lama, idraulico bresciano ai tempi del coronavirus. Anche il suo è un lavoro che non si ferma, nonostante, è chiaro, si intervenga solo nei casi di massima necessità.
«Vado solo se la gente è al freddo o se l’acqua calda non viene, certo è tutto diverso». Una distanza dalla «vita di prima» che si fa chiara già in strada. «Mi muovo sulla mia bicicletta equipaggiata, ogni giorno visito almeno tre famiglie - racconta Lama -: viaggio benissimo, se è per quello, non c’è traffico e gli spostamenti sono veloci e non pericolosi. Ieri attraversavo il quartiere Perlasca. Sui balconi tanti bimbi. Gli è sembrato impossibile vedere qualcuno passare e hanno iniziato a salutarmi e a lanciarmi corde come fossi un pesce da prendere all’amo».
Poi, però, dall’aperto e sicuro passaggio delle strade si passa agli androni, alle scale, agli appartamenti. «Sì, avviso sempre che io sto girando, che ho contatti con altre persone. Molti restano indecisi se farmi entrare. Sai - dice - è come dire "potrei ucciderti". Poi però pensano che sono al freddo e così mi fanno entrare».
Tutte le misure salva contagio sono rispettate, ovviamente. «Ho sempre la mascherina, i guanti e sto, stiamo, molto attenti alle distanze. Prima se riparavo una caldaia in cucina avevo sempre qualcuno con cui scambiare due chiacchiere, che guardava quel che facevo. Adesso le persone aspettano in un’altra stanza: è irreale».
Senza contare poi il pensiero per la propria sicurezza. «Cerco di lasciarmi scivolare le cose, i messaggi che arrivano. L’altro giorno una signora del quarto piano mi fa: stai attento che al primo è morta una signora. Come si fa? Non posso certo evitare di passare».
Le incursioni nelle case chiuse dalla quarantena ti portano in ambienti ovattati, dove la percezione del tempo e del tipo di atmosfera cambia a seconda di chi ci abita. «Sono stato in casa di settantenni, persone che restano dietro la porta, che seguono le indicazioni. Diverso invece a casa del ragazzo pakistano: non voleva prendere precauzioni, non aveva paura. Gli ho dovuto spiegare tutto. Quelli che mi sembrano più equipaggiati sono i trentenni: perennemente davanti al pc, si muovono nel loro mondo virtuale e mi pare reggano bene».
Con il suo armamentario Lama si muove nella città deserta. «Da quel che sento è larga la convinzione che tanti si siano ammalati, che hanno avuto febbri strane. Mah, vedremo. Adesso sto uscendo, vado all’ultimo appuntamento di giornata».
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