Dalla medicina all’arte, il volo del dottor Paolo Gei
Quando hai dedicato tutta la tua vita agli altri è difficile, per non dire impossibile, smettere di farlo di punto in bianco. E per continuare a stare accanto alle persone a volte basta solamente cambiare punto di vista. Paolo Gei, ex primario di Cardiologia riabilitativa al Civile in pensione dal 2016, ha scelto l'arte per farlo, rimettendosi in discussione quando in molti si sarebbero goduti il meritato riposo dopo tanti anni di lavoro.
Il medico infatti si è laureato pochi giorni fa con il voto di 110 e lode in Lettere ad indirizzo storico, artistico e archeologico in Cattolica «una scelta presa perché fin da giovane mi sono piaciute le materie umanistiche» racconta e perché dentro di sè un'idea è maturata nel corso del tempo. «La funzione primaria dell’arte è aiutare a vivere meglio - spiega Gei, figlio dell'indimenticato allenatore del Brescia Renato e fratello dell’ex senatore Gianni -, e rappresenta un valido strumento per affrontare le fragilità umane, psicologiche ma anche fisiche».
La scelta della tesi cade perciò proprio sul tema dell'«Arte come terapia», argomento che il 67enne affronta sia con le sue competenze umanistiche sia con quelle scientifiche alla base della sua professione di medico.
«Nella tesi spiego alcune tipologie di pazienti possano ottenere benefici concreti dalla fruizione dell’arte - racconta Gei, che in quanto soggetto oncologico cronicizzato ha vissuto in prima persona l'esperienza della malattia -, chi ad esempio soffre di forme di depressione ma anche i cardiopatici e soprattutto coloro che sono colpiti dal Parkinson. L’Arte - aggiunge l’ex primario dell’ospedale Civile - in questo caso può migliorare le abilità visive e percettive dei pazienti, con possibili effetti positivi anche sulle capacità motorie, di per sé progressivamente compromesse nell’evoluzione della sindrome e quindi intervenire direttamente sulla qualità di vita dei soggetti».
Idee che Gei ha trasformato in asserzioni scritte ma che hanno anche un orizzonte più lungo e destinato ad avere considerazioni. «Credo che l’arte debba essere spiegata in modo empatico a chi la osserva, soprattutto a coloro che sono un po’ refrattari - sottolinea con convinzione -. Il ruolo della guida artistica deve essere quello di stimolare le persone, spiegando in modo semplice e nello stesso tempo fornendo quegli strumenti utili per poter sentire e vivere a pieno le opere in tutte le loro sfaccettature».
Una visione che l’ex medico vuole portare nella pratica di ogni giorno, con uno sguardo alle «sfide del futuro». «In vista del 2023 e di Brescia quale Capitale della cultura vorrei poter rivestire proprio questo ruolo», conferma. Una guida artistica con però un valore in più. «Date le mie competenze mediche potrei accompagnare anche quelle persone che, per paura dei problemi fisici quali ad esempio quelli cardiaci, hanno paura ad effettuare visite a monumenti e luoghi d’arte in genere - spiega Paolo Gei -. Con me avrebbero la sicurezza, fosse anche solo mentale, di sapere di potersi muovere essendo accompagnati da un medico oltre che da una guida».
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