Dal sequestro dell'area a oggi: a che punto è il caso Caffaro

Dal 9 febbraio sono trascorsi oltre quattro mesi, ma dal punto di vista ambientale nulla è cambiato
Carabinieri dentro lo stabilimento chimico Caffaro di via Milano - Foto Ansa  © www.giornaledibrescia.it
Carabinieri dentro lo stabilimento chimico Caffaro di via Milano - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Ma dal punto di vista ambientale, dopo il sequestro del 9 febbraio, a che punto siamo? La domanda sorge spontanea, specie perché ci eravamo lasciati così: con il sequestro dell'area industriale Caffaro, cuore del Sito di interesse nazionale, e con gli enti (Arpa e Procura in primis) che hanno più e più volte dichiarato urgenti e necessari gli interventi sulla barriera idraulica che filtra i veleni, una «diga» che dal 2014 è stata giudicata non sufficientemente efficace.

Quattro mesi di vuoto

Oltre quattro mesi dopo i sigilli posti ai capannoni, di fatto, (quasi) nulla è stato concretamente fatto all’interno del sito. L’unico atto pratico messo in campo dagli enti è posizionare un contenitore di raccolta sotto la cisterna crepata, dalla quale continuava incessantemente a sgocciolare cromo esavalente. Per il resto, nulla è cambiato: dell’intervento sulla barriera idraulica neppure l’ombra. Come mai?

Dopo due mesi di dibattiti e di tavoli politici, il commissario straordinario, il Comune e la Regione hanno deciso di fare confluire quei lavori «urgenti e necessari» all’interno del maxi bando di gara per la messa in sicurezza e la bonifica dell’area. Di nuovo: come mai? Perché per prendere una decisione, dal giorno del sequestro, sono trascorsi due mesi: troppi. E arrivati a quel punto - è la motivazione schierata sul tavolo dalla politica - il rischio era che le due gare d’appalto (quella per sistemare la barriera idraulica e quella relativa al maxi progetto) si accavallassero, così come i lavori. 

La situazione Pcb

Caso Caffaro, il punto in Procura

Nell’indagine della Procura si parla di cromo esavalente e di mercurio, ma qual è lo stato dell’arte rispetto agli inquinanti che per primi, nel 2001, fecero accendere i fari sul sito industriale di via Nullo, ovvero i Pcb? Altrettanto pessimo. I policlorobifenili sono sostanze chimiche cancerogene, come stabilito dall'International Agency for Research on Cancer (Iarc) dell'Oms nel 2013), riconosciute a livello internazionale tra gli inquinanti organici più persistenti nell’ambiente e sono vietate dal 1985. Gli ultimi rilievi effettuati nel 2019 e sul finire del 2020 raccontano infatti di valori cinque volte e mezza oltre i limiti rispetto alla soglia stabilita. Dall’epicentro del Sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro i Pcb «viaggiano» ancora in concentrazioni ben oltre i parametri consentiti.

Gli Sos dell’Arpa

L’Arpa di Brescia ha messo sotto esame lo scarico che fa confluire le acque nella roggia Fiumicella: stiamo parlando, per l’esattezza, di 13 milioni di metri cubi all’anno. Qui la Provincia, all’interno dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), ha stabilito un limite massimo medio annuo relativo alle concentrazioni di Pcb. Limite che, negli ultimi due anni, è stato ampiamente superato. E che testimonia, anche in questo caso, come l’inquinamento sia di fatto persistente. Nella relazione del 31 marzo scorso si legge: «Nell’anno 2019 la concentrazione di Pcb nello scarico S2 ha superato di oltre il 500% il limite consentito nella roggia Fiumicella. Se si confronta questo valore con gli anni 2013 e 2014 si vede chiaramente che la situazione attuale si è aggravata», passando da 0,02 a 0,11 microgrammi per litro. Altrettanto chiaro è il quadro delineato dall’Arpa come epilogo del monitoraggio condotto nel 2020: la concentrazione media annuale dei Pcb rilevata allo scarico Caffaro, che immette le acque di falda, emunte dalla barriera idraulica, nella roggia Fiumicella è risultata più del doppio rispetto al limite imposto dalla Provincia nell’Aia.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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