Dal ministro Nordio il via libera al processo per l’omicidio di Sana Cheema

Atto fondamentale per superare l’eventuale ipotesi che il padre e il fratello non potessero essere giudicati perché già assolti in patria
Sana Cheema, morta in Pakistan nell’aprile del 2018
Sana Cheema, morta in Pakistan nell’aprile del 2018
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Il processo ora può davvero iniziare. Il via libera arriva da Roma, dal ministro della Giustizia Carlo Nordio che ha inviato alla Procura generale di Brescia il provvedimento di rinnovazione dibattimentale per l’omicidio di Sana Cheema, la 25enne di origini pakistane e cittadina italiana, cresciuta nel quartiere Fiumicello a Brescia e, secondo le indagini, uccisa in patria nell’aprile del 2018 per aver detto no alle nozze combinate.

Imputati davanti alla Corte d’Assise sono il padre Mustafa Ghulam, 60 anni, e il fratello Adnan Cheema, 35 anni, che non vivono più in Italia. «È ipotizzato il reato di omicidio politico perché riteniamo che ci sia stata una violazione sia dell'interesse politico dello Stato che il diritto politico del cittadino» ha spiegato il procuratore generale Guido Rispoli che rappresenta l’accusa in aula dopo che il suo predecessore Pierluigi Maria Dell’Osso aveva avocato l’inchiesta sulla morte della giovane di origini pakistane.

Il provvedimento del ministro della Giustizia Nordio era fondamentale per cancellare l’ipotesi «ne bis in idem» (letterlamente «non due volte la stessa cosa», espressione latina usata per esprimere un principio che garantisce che non possa esserci, per uno stesso fatto, un nuovo procedimento nei confronti di un imputato – prosciolto o condannato – già giudicato in via definitiva) sollevata dalla difesa dei due imputati. Il padre e il fratello di Sana Cheema sono infatti già stati processati e assolti in patria per insufficienza di prove e il difensore, nell’udienza davanti alla Corte d’Assise dello scorso 20 dicembre, aveva chiesto che i suoi assistiti non fossero processati una seconda volta per lo stesso fatto. «Principio che non può trovare ospitalità in assenza di una convenzione sottoscritta tra l’Italia e il Pakistan» hanno stabilito i giudici.

In presenza della contestazione di un delitto politico è necessario però che il rinnovamento del giudizio sia preceduto della richiesta del ministro della Giustizia. Che ora è arrivata. «Sarà valutato dal giudice se c'è la responsabilità dei due imputati» ha commentato il procuratore generale Rispoli. «Mi pare molto importante - ha concluso - che il ministro della Giustizia pur con un processo celebrato in Pakistan e concluso con l’assoluzione abbia richiesto all'autorità giudiziaria di rinnovare il dibattimento in Italia».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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