Da Pinky a Manuela Bailo: l'8 marzo e la violenza di genere
Anche oggi, 8 marzo 2021, nel giorno in cui si celebra la donna, il pensiero va inesorabilmente a tutte quelle situazioni in cui la donna è calpestata, la sua immagine e la sua dignità negate, il suo valore misconosciuto. E soprattutto la sua stessa incolumità fisica messa a repentaglio. Talvolta senza appello.
Pare quasi un paradosso che in un giorno che dovrebbe essere di festa, il rimando primo sia alla dimensione della violenza. Di genere, nella fattispecie. Eppure, la cronaca la impone. E così anche in questa edizione - in un tempo di pandemia che ha visto ridursi le denunce e spesso esasperare la convivenza forzata con compagni e partner che non esitano a ricorrere alla violenza psicologica ove non materiale - si rinnovano gli appelli.
Già, ma proprio questa circostanza rende ancora più stridenti i paradossi di una condizione che la nostra società non riesce a risolvere altrimenti. Lo evidenziano anche due testimonianze raccolte nelle giornate che hanno preceduto l'8 marzo.
PINKY. Da un lato c'è Parvinder Kaur, meglio nota come Pinky, la giovane di origini indiane che scampò nel 2015 alle fiamme appiccate al suo corpo dal marito, Ajab Singh, ora in carcere per scontare una condanna a 14 anni di reclusione. La sua è una storia di rinascita da una condizione di sottomissione alla violenza domestica. La sua storia è divenuta un simbolo, il suo impegno di testimonianza ha per simbolo quel muro di via Lattanzio Gambara, a pochi passi dal Palagiustizia, sul quale affigge le bambole come si fa in India sulle porte delle donne uccise. Proprio nelle scorse ore - assieme alla rete dell'associazione Dafne - ne ha affisse altre venti. «Nel mio caso - spiega la giovane donna - influivano anche fattori culturali, ma di fondo c’è sempre una grande capacità di manipolazione da parte del partner/carnefice. Ero arrivata ad avere paura del futuro, anzi, a non vederlo neanche». E invece oggi Pinky ha gli occhi che brillano: «Se ce l’ho fatta io, ce la possono fare tutte». Chiedendo aiuto, però. Lo sottolinea Catia Piantoni, dell’associazione rete di Daphne, a cui fa capo l’omonimo centro antiviolenza della Franciacorta. MANUELA. Dall'altro lato c'è Arianna Bailo. La sorella di Manuela, la giovane di Nave che fu uccisa dal collega ed amante Fabrizio Pasini. Il quale è in carcere per scontare una pena di soli due anni superiore a quella del marito di Pinky. Con l'enorme differenza - nell'evidenza dei fatti, che spesso non trova analoga specularità nelle norme che disciplinano la macchina della giustizia - che Pinky è viva, ancorché ferita, Manuela no, uccisa con un duplice passaggio di lama sulla gola che nel testo dell'ultima sentenza viene esplicitamente ricostruito. Davanti alle telecamere di Messi a Fuoco, la sorella ha ribadito la sua amarezza per quella che ritiene una sentenza inaccettabile. E rinnovato un cruccio tutt'altro che filosofico: «Come si fa a rinnovare l'appello alla denuncia alle donne vittime di violenza davanti ad una sentenza come quella per l'omicidio di mia sorella? Se tutto andrà bene, Pasini sconterà effettivamente dieci anni» fa sintesi Arianna Bailo nel suo lucidissimo e toccante intervento che proponiamo nel video qui sopra.Due storie, due esiti giudiziari, due riflessioni che in questo 8 marzo meritano entrambe considerazione, nel comune intento da cui scaturiscono di rendere davvero possibile alle donne sottomesse all'orrore, tanto più se fra le mura domestiche, di liberarsi da quel giogo e trovare risposte che al di là della congruità giuridica, non lascino neppure l'amarezza di una pena che appare a familiari e non inadeguata alla vita spezzata di una persona cara.
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