Da Napoleone alla contessa: tutta la storia del parco Ducos
Il parco Ducos quest’anno compie quarant’anni. Ma solo come spazio verde ufficialmente aperto al pubblico. Non come giardino: quello deve la sua nascita ad un lascito napoleonico alla contessa Ducos per l’aiuto che diede all’imperatore. Lo dimostrano gli splendidi alberi secolari (come le sequoie) che svettano nella zona orientale della città, tra viale Piave e la ferrovia, cui nel 2001 venne annessa l’area verde più a sud, denominata Ducos 2.
È stato grazie alla mobilitazione dei cittadini di quella zona e di alcune associazioni come «Italia nostra» (diversi anni prima di quella che portò alla creazione del parco Castelli) che oggi Brescia può godere di questo polmone verde, molto amato dai suoi cittadini. E una targa proprio all’ingresso del giardino pubblico ricorda i nomi di coloro che nei primi anni Settanta si batterono per la realizzazione del parco.
L’area era di proprietà dei conti Camillo e Sofia Salvadego Molin Ugoni e dell’avvocato Alessandro Salvadego che trovarono un accordo con il Comune - grazie alla mediazione dell’allora Consiglio di quartiere Porta Venezia - per fare in modo che l’area non venisse trasformata in una colata di cemento. I nobili proprietari cedettero gratuitamente ventimila metri quadrati alla città in cambio della possibilità di edificare tre palazzine nella parte ad ovest del terreno, senza andare ad intaccare il patrimonio di specie arboree piantumate nell’Ottocento e, quindi, l’habitat di numerose specie animali, presenti anche grazie al laghetto.
La mobilitazione dei cittadini cominciò nel lontano 1972 e ne troviamo «tracce» anche in un articolo di quell’anno sul nostro quotidiano che titolava «Viale Piave: riservare a verde pubblico gli alberi del parco Salvadego Ducos», in cui si leggeva che nell’area erano entrati addirittura a fare motocross. I residenti, ma non solo loro, si riunirono in Comitato (e tra loro spicca la figura di Ezio Garibaldi) per la difesa dal degrado e dal vandalismo di quell’area verde, oltre che dall’ipotesi - tutt’altro che remota - di cementificazione.È proprio quest’ultimo, Piergiorgio Vittorini, che ci racconta di quel movimento di cittadini partito dal basso per tutelare l’area verde, di quella «convergenza tra attivisti iscritti al Partito comunista, insieme a persone vicine all’ambiente proto-ecologista e componenti radicali» con un interesse comune per aspetti di ordine ambientale che portò all’istituzione del parco. «Io allora avevo vent’anni - aggiunge il noto avvocato - e mi trovai a lavorare fianco a fianco con architetti, medici e professionisti più maturi di me, con una bella componente femminile, tutti che avevamo una convergenza totale volta alla salvaguardia di quell’area che costituiva una sorta di prolungamento della Maddalena in città, dal valore storico notevole, perché tra le pochissime testimonianze del passaggio di Napoleone a Brescia, insieme al Teatro Grande e alla Tomba del cane». Di quel Movimento dei quartieri, caratterizzato dal risveglio della partecipazione alla vita della città da parte dei cittadini, nei primi anni Settanta, Piergiorgio Vittorini ricorda «la grande capacità organizzativa» per portare avanti quella battaglia che ebbe un felice esito. Anche grazie all’Amministrazione comunale che ascoltò e assecondò le istanze dei bresciani.
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