Da Brescia a Stoccolma, poi premiata a Bruxelles

Marta Paterlini, che da otto anni vive e lavora a Stoccolma, è stata tra i finalisti del premio della Commissione europea sulla Salute
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Si lascia scappare qualche parola in dialetto, seppur abituata da diversi anni a parlare in svedese e a scrivere in inglese. Va fiera delle sue origini bresciane Marta Paterlini, neurobiologa, ma anche giornalista free lance che si occupa di divulgazione di notizie scientifiche. Da otto anni vive a Stoccolma, insieme al marito, pure lui italiano, e alle sue due figliolette Smilla e Sofia.

Proprio rappresentando la Svezia ha partecipato ed è arrivata tra i finalisti del premio «Eu Health Prize for Journalists» della Commissione Salute dell'Unione europea. Il 29 gennaio a Bruxelles si sono tenute le premiazioni, con riconoscimenti consegnati non solo a chi ha vinto il premio, ma pure a tutti coloro che vi hanno partecipato rappresentando il proprio Paese (terza ad esempio è arrivata Daniela Cipolloni per l'Italia).

«Il tema generico era quello della Salute. Io ho inviato il mio articolo pubblicato sulla rivista svedese "Forskning och framsteg" "sul misterioso legame tra il vaccino contro l'influenza suina del 2009 e l'aumento di casi di narcolessia registrato nei Paesi Scandinavi pochi mesi dopo. Ci tengo comunque a dire - precisa Marta - che questo articolo non è assolutamente contro i vaccini, in cui credo fermamente, ma vuole capire perché si sono verificati alcuni casi inusuali di questa malattia neurologica». Marta da otto anni vive a Stoccolma.

Ora lavora come ricercatrice al Karolinska Institutet. Ha collaborato con riviste internazionali come «Science», «Nature», «The Scientist», «The lancet» e poi ancora «Embo Reports» e «Scandinavian Life Science». Nel 2006 ha scritto il libro «Piccole visioni» che racconta della vita e della scoperta scientifica di Max Perutz, Premio Nobel per la chimica nel 1962 è considerato il pioniere dell'utilizzo della diffrattometria a raggi X su grandi molecole organiche, in particolare sull'emoglobina. Un romanzo che - come si legge nelle recensioni on line, è «capace davvero di unire rigore ed emozione», in un modo appassionante.
Ma lungo quali percorsi da Brescia si arriva fino alla Svezia? «Ho studiato all'Arnaldo - spiega Marta -. Poi ho fatto Biologia a Parma quindi sono tornata a Brescia per il dottorato in Neuroscienze, con il professor Spano. L'ho concluso a Cambridge quindi sono sbarcata a New York, alla Rockefeller University per il post dottorato. Mi sono spostata in America per amore». Marta e il compagno hanno vissuto in diretta l'attacco alle Torri gemelle e gli anni successivi sono stati un po' pesanti. Da qui il desiderio di tornare in Europa.

«La scelta di Stoccolma è stata un po' causale. È saltata fuori l'opportunità al Karolinska Institutet, e ora lavoro in un laboratorio di medicina rigenerativa». E in Italia, ci tornerebbe? «Il mio Paese mi manca sempre, a Brescia sono rimasti i miei genitori, mia sorella e molti amici. Ma non ci tornerei mai, pensando alle mie figlie. L'Italia non è un posto per giovani, e mi spiace molto». Senza contare poi che la Svezia investe molto in ricerca e innovazione. «Qui inoltre c'è un welfare straordinario. La famiglia non è vista come un ostacolo ma come un investimento. E le donne - conclude Marta Paterlini - possono avere una vita professionale e avere ancora tempo per i figli». E per ricevere premi, aggiungiamo noi.

Daniela Zorat

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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