Da Brescia a Salò: la cittadinanza onoraria a Mussolini

Nel 1924 furono 22 i Comuni bresciani a conferire l'onorificenza a Mussolini in un'operazione di propaganda orchestrata da Acerbo
Benito Mussolini in piazza Vittoria l'1 novembre 1932 - Foto © www.giornaledibrescia.it
Benito Mussolini in piazza Vittoria l'1 novembre 1932 - Foto © www.giornaledibrescia.it
AA

Il primo fu Coccaglio, il 20 maggio 1924. Seguirono nei giorni successivi Bovegno, Capriano del Colle, San Zeno, Milzano, Adro, Barbariga, Bedizzole, Frontignano, Rovato, Salò, Virle Treponti. E poi ancora, tra il 27 maggio e il 7 giugno, Brescia, Manerba, Ghedi, Azzano Mella, Bornato, Provaglio d’Iseo, Soiano del Lago, Trenzano, Brandico e Collio.

Sono i Comuni bresciani che conferirono la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, tuttora valida e al centro di discussioni politiche nei municipi coinvolti, in particolar modo negli ultimi anni. L’ultimo caso riguarda Salò, dove giovedì sera è stata bocciata una mozione che chiedeva all’amministrazione Cipani di togliere l’onorificenza, ma anche a Brescia la vicenda era finita in Loggia nel 2017 in seguito a un’interrogazione di Sinistra Italiana, senza che peraltro siano stati presi provvedimenti a riguardo.

Il conferimento nel 1924 della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini non fu un’iniziativa estemporanea dei municipi coinvolti, ma assecondò piuttosto, come ha scritto sul nostro giornale Roberto Chiarini del Centro Studi sulla Rsi, «una spinta che vide il fascismo procedere a tappe forzate alla conquista del governo senza che si ergessero argini istituzionali e nemmeno difese politiche capaci di arrestarne la marcia». 

 

Mussolini sul tetto del grattacielo di piazza Vittoria - Foto collezione Giorgio Battati © www.giornaledibrescia.it
Mussolini sul tetto del grattacielo di piazza Vittoria - Foto collezione Giorgio Battati © www.giornaledibrescia.it

 

Nel 1923, pochi mesi dopo l’insediamento di Mussolini al governo, furono diversi i capoluoghi a riverirlo con tale onorificenza, come Bologna, Firenze, Ravenna e Napoli, seguiti l’anno successivo da altre città come Mantova,  Bergamo e la stessa Brescia. Tra le città menzionate, Ravenna, Mantova e Bergamo hanno deciso negli anni scorsi di revocare il riconoscimento al dittatore fascista.

Tornando al 1924, l’operazione celebrativa venne orchestrata dal sottosegretario Giacomo Acerbo, lo stesso che l’anno prima aveva ideato la legge elettorale fatta apposta per consegnare il parlamento nelle mani di Mussolini. «Il fido collaboratore del presidente del Consiglio in data 7 maggio inoltra ai prefetti di tutta Italia un telegramma per sollecitare un loro intervento perché sia dato corso in tempi celeri al conferimento dell’onorificenza - come si legge nella delibera di uno degli innumerevoli comuni che aderirono alla sollecitazione - al «Grande Uomo che tanto onora la nostra Nazione» nei territori di competenza», scrive ancora Chiarini. 

Forte del successo alle elezioni del 6 aprile del '24, in cui la sua Lista Nazionale aveva ottenuto il 60%, Mussolini aveva «ormai la strada libera per dispiegare il suo disegno autoritario», rallentato solo temporaneamente dall'indignazione popolare per l'omicidio Matteotti. Il conferimento della cittadinanza onoraria al vincitore viene letto da Chiarini come il segnale «dell’affossamento in corso della democrazia, processo che sfocerà nel giro di due anni nell’instaurazione di una dittatura grazie all’approvazione delle cosiddette "leggi fascistissime", tomba della libertà di parola, di stampa e di associazione». 

 

La folla in piazza Vittoria per Mussolini - Foto collezione Giorgio Battati © www.giornaledibrescia.it
La folla in piazza Vittoria per Mussolini - Foto collezione Giorgio Battati © www.giornaledibrescia.it

 

Secondo la storica Elena Pala, anche lei del Centro Studi Rsi, la cittadinanza onoraria doveva segnare «una rottura di continuità rispetto alla tradizione parlamentare per cui i leader erano temporanei e sempre revocabili». Mussolini voleva diventare «il duce»: «Una figura non più contendibile sul piano delle regole democratiche», con un’aura di «superiorità e intoccabilità». Un leader, dunque, irrevocabile, almeno nelle aspirazioni.

Come dicevamo, alcune amministrazioni hanno deciso di togliere l’onorificenza, mentre a Salò la mozione non è passata. Da un punto di vista politico, secondo la Giunta guidata dal sindaco Giampiero Cipani la revoca sarebbe servita solo «a rimestare sentimenti di odio e rivalsa, nocivi alla convivenza civile». Ma sono state avanzate anche motivazioni di natura tecnico-amministrativa, «che ci inducono a dubitare  che l’atto di revoca sia legittimo, in quanto la cittadinanza è stata conferita da un commissario prefettizio» ha detto Gualtiero Comini, capogruppo della lista Progetto Salò, che ha sostenuto Cipani alle ultime elezioni. «Ci chiediamo se questo riconoscimento non debba essere revocato dal Governo stesso, attraverso provvedimenti prefettizi ad hoc», ha detto sempre Comini,  che ha poi fatto sue le parole del sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci, figlio di partigiani, che nel 2014 votò allo stesso modo di Salò: «Abbiamo ritenuto che cancellare quell’errore storico non fosse giusto. E che dovesse restare: è un’occasione di riflessione sul perché il fascismo non deve tornare mai». A Ravenna, però, la cittadinanza è stata poi revocata, nel 2018.

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato