Covid: da marzo ad aprile raddoppiate le badanti licenziate
Una di famiglia. Colonna invisibile del welfare italiano. Che sia colf o badante, poco cambia: la sua è una vita al servizio degli altri, talvolta per scelta, spesso per necessità. A complicarla, è arrivato il Coronavirus, che ha esacerbato le difficoltà di una categoria svantaggiata, rivelando una doppia fragilità: quella di un comparto ancora troppo poco tutelato dallo Stato e quella di tante famiglie, messe alla prova dallo stop forzato delle attività economiche e quindi impossibilitate a permettersi un aiuto per la casa o per la cura degli anziani. Inumeri. In Italia sono circa 2 milioni le collaboratrici domestiche, di cui solo 860mila con contratto regolare. A Brescia la percentuale è persino più critica, con 4000 colf e badanti regolarizzate su un totale di circa 12mila.
Si tratta per la maggior parte di persone straniere (71.4%) con una prevalenza di donne (88.4%). Il settore produce circa l’1.3% del Pil nazionale e consente allo Stato di risparmiare 6.7 miliardi per la cura e il ricovero degli anziani in struttura. Costi sostenuti dalle famiglie italiane per complessivi 7.3 miliardi di euro all’anno, se si calcolano retribuzioni, tfr e contributi. Per i bresciani il costo annuale è di 64 milioni di euro. In questa situazione di emergenza sanitaria, diversi – e per lo più tristi – sono gli scenari in cui si sono trovate colf e badanti, spesso sole e lontane dal proprio Paese d’origine. Secondo i dati forniti dai principali Caf provinciali, le vicende delle collaboratrici domestiche in tempi di Covid hanno avuto risvolti opposti, a seconda che si trattasse di conviventi o impiegate a ore. Nel primo caso hanno continuato a lavorare, senza però poter uscire per le due ore al giorno previste dal contratto e dovendo consumare i riposi entro le mura domestiche.
Uno stress psicologico considerevole, dato che per lo più si tratta di badanti, impegnate h24 nell’assistenza agli anziani. Le scelte. La maggior parte delle collaboratrici pagate a ore, invece, è rimasta a casa, per scelta propria o delle famiglie, in assenza però di un sostegno da parte dello Stato. «I datori che hanno potuto permetterselo – spiega Elda Rocchi del Coordinamento normativo Colf e badanti Caaf Cgil Lombardia – hanno continuato a retribuire le collaboratrici, ricorrendo alla sospensione extraferiale del rapporto di lavoro, tutelata dall’articolo 19 del contratto collettivo nazionale. Nei casi in cui ciò non è stato possibile, si è ricorsi alle ferie, i permessi, l’aspettativa o, in accordo, l’assenza non retribuita». E c’è anche chi è rimasta senza lavoro: Tiziana Fortunali, responsabile del Caf Cisl Brescia, segnala che le chiusure mensili dei contratti sono raddoppiate negli ultimi due mesi rispetto allo stesso periodo del 2019 e del 2018, a causa dei numerosi decessi avvenuti anche per Covid 19 e dell’impossibilità di accedere alle Rsa. Non mancano, fortunatamente, evoluzioni positive. «Le nuove assunzioni nel bimestre di emergenza sanitaria, più o meno invariate rispetto agli anni precedenti, sono state per lo più regolarizzazioni di rapporti di lavoro in essere, incentivate dai controlli attraverso le autocertificazioni», chiarisce la direttrice del patronato Acli Brescia Rita Tagassini. «Una categoria, quella delle collaboratrici domestiche, completamente scoperta dal decreto Cura Italia, e per ora dimenticata», osserva il Caf Uil Brescia. La speranza è di veder riconosciuto qualche diritto con il nuovo decreto Aprile, che dovrebbe destinare 1.3 miliardi per il sostegno a colf e badanti e per la Naspi.
Diverse le ipotesi messe in campo: è al vaglio la possibilità di erogare un indennizzo rapportato alla riduzione dell'orario di lavoro svolto, premio tra i 200 o 400 euro, in base alle ore previste da contratto.
La strada alternativa sarebbe quella della cassa integrazione in deroga semplificata, ma, utilizzando tale strumento, i tempi potrebbero essere più lunghi, con il rischio che l'accredito sia effettuato solo quest’estate. Per gli irregolari – a Brescia circa 8.000 e in Italia 1.2 milioni, di cui 200mila senza nemmeno il permesso di soggiorno - l’ipotesi prevalente è di farli rientrare nel campo di applicazione del Reddito d’emergenza (Rem), in alternativa si sta ragionando sull’estensione del reddito di ultima istanza. Forte la pressione delle organizzazioni sindacali di settore e delle associazioni di categoria, che lo scorso 10 aprile hanno inviato una lettera al ministro del lavoro Nunzia Catalfo per chiedere che «l’Italia ponga in essere per i collaboratori domestici la medesima forma di sostegno al reddito che ha previsto per gli altri lavoratori subordinati». «Il Ccnl – sottolinea Giuseppe Leone, segretario generale Filcams Cgil Brescia – non può essere l’unico strumento di tutela di questa categoria». WelfareLe figure professionali duramente colpite dall’emergenza
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