Covid-19, l'ingegnere: «Andare al lavoro è diventato un ricatto»
«Quello che vedo sotto gli occhi mi fa paura - dice Alessandro, (il nome è di fantasia), ingegnere di 46 anni -. Lavoro in un’azienda meccanica, dove come in molte altre simili, i ruoli non sono sempre definiti e i reparti non sono certo compartimenti stagni. Le persone si muovono, interagiscono e fanno ciò che serve: in molti casi il contatto ravvicinato tra persone è inevitabile. Mascherine e disinfettanti sono pochi e poco usati».
Quello che viene tracciato da Alessandro è uno spaccato di quel che avviene, in questi giorni di emergenza da Coronavirus, in piccole e medie aziende come la sua che non ha il potere, la possibilità o la lungimiranza di fermare l’attività per salvaguardare il personale, come invece, in altri casi - da Beretta ad Alfa Acciai - è avvenuto.
Nonostante gli appelli e le direttive per lavorare in sicurezza, il luogo di lavoro, in certi casi, diventa pericoloso. «Gli ambienti comuni sono piccoli: la fila per la timbratura, le zone ristoro, i bagni (se va bene 4 per 70 persone. ..). Le commesse e gli ordini sono da finire e non si possono fare ferie, anzi si va di straordinario. Nelle piccole aziende spesso i sindacati non arrivano e spesso non sanno come parlare ai lavoratori. Vedo sempre meno coscienza dei propri diritti e di conseguenza sempre meno rappresentanza. Il lavoro da casa per gli uffici non è quasi mai reale: non ci sono i mezzi tecnologici, forse le conoscenze tecniche, di sicuro non c'è la fiducia nei confronti del lavoratore. Le aziende padronali non lavorano da casa».
Una situazione che, se moltiplicata, sdiventa dai contorni allarmanti. «Un'azienda di 100 persone coinvolge, familiari compresi, 5-600 persone nel proprio rischio. Il contagio si allarga, gli ospedali si riempiono e la crisi si allunga. Così va male. Non si fa l'interesse di nessuno. Non si fa neanche l'interesse di questi imprenditori-padroni che tengono aperto a qualsiasi costo. Si lavora sperando di avvantaggiarsi sul concorrente, per mascherare una inefficienza, per mantenere una promessa azzardata. Vedo un'imprenditoria impreparata e inadeguata alle sfide della modernità, che ha costruito aziende fragili e malsane dove quotidianamente si rompe il patto morale tra lavoratore e datore di lavoro, ancora di più oggi».
Al lavoratore, quindi, messo in questa situazione fragile non resta che accettare la situazione. «Se non si fa, salta il lavoro. E questo ricatto vale anche per le aziende esterne, che spesso dipendono completamente dal padrone delle aziende dove forniscono servizio. Così per difendere il lavoro, cosa che vogliamo tutti, si finisce per rimandare la cura e prolungare la malattia. Non ce lo possiamo permettere. E se, per il futuro, che prima o poi arriverà, questo schema di pensiero ci limitasse anche nella rinascita? Se servisse una imprenditoria capace di mandare lo sguardo più lontano?».
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