«Così da anni permettevo agli imprenditori di evadere le tasse»

Rosario Marchese, in cella per associazione mafiosa sta ricostruendo la metodologia del malaffare
Il tribunale di Brescia - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Ore e ore di interrogatorio. Una, due, tre volte. La quarta sarà a fine mese. Nega di essere un uomo della mafia. E non viene creduto. Ammette invece di essere stato al servizio di quell’imprenditoria che voleva evadere il fisco. E su questo chi indaga lo ritiene credibile.

Le ammissioni. Rosario Marchese sta raccontando la sua verità. Inchiodato dalla montagna di fatture emesse da società a lui riconducibili, ha deciso di spiegare come ha funzionato per anni il sistema al centro dell’inchiesta dell’antimafia di Brescia che lo scorso 26 settembre - con arresti, perquisizioni e 134 nomi nel registro degli indagati -, ha scosso un’intera provincia. Marchese, che il primo marzo compirà 34 anni, è in carcere a Opera raggiunto da quattro ordinanze di custodia cautelare: dalle procure di Brescia, Gela, Caltanissetta e Milano. Gli inquirenti lo considerano «vicino ad uno dei clan mafiosi siciliani, la famiglia Rinzivillo di Gela, storicamente affiliata a Cosa Nostra». A Brescia deve rispondere di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alla commissione di reati fiscali.

«Non sono un mafioso, ma ho lavorato per conto di aziende che volevano effettuare indebite compensazioni» ha ammesso al pm Paolo Savio, titolare della maxi inchiesta. «Facevo delle finte consulenze e la fattura che emettevo era dell’importo che la società voleva evadere. Le mie aziende lavoravano solo per fare indebite compensazioni. Io incassavo parte di quella fattura in contanti». Le cifre? «Fatture tra i 30 e i 60 mila euro a volta» avrebbe riferito. Numeri che coincidono con l’ammontare dei beni a lui intestati e finiti sotto sequestro: quasi dieci milioni di euro tra immobili e quote societarie. Con i soldi incassati voleva, o avrebbe voluto, avviare attività pulite. «Nel settore del noleggio auto a medio lungo termine negli aeroporti di tutta Italia». Era stato capace di ricapitalizzare le sue società con opere d’arte che non ha mai neppure visto ma che imprenditori garantivano di avergli ceduto. Politica e imprenditoria. Nel corso degli interrogatori ha fatto luce anche sui contatti. «Le aziende si rivolgevano a degli intermediari che poi mi affidavano la consulenza. E l’intermediario incassava una percentuale della percentuale che Marchese teneva per sé.

«Non conoscevo personalmente le società. Non avevo contatti diretti» ha riferito Marchese. Che si concentrava sulle indebite compensazioni, mentre per la cessione dei crediti di imposta e i pagamenti di F24 ci pensavano i famosi intermediari, che potevano essere professionisti, i colletti bianchi arrestati a settembre, ma anche semplici uomini fidati. Con la laurea in Economia in tasca, il 34enne siciliano sapeva come muoversi. Ed era tenuto in alta considerazione. Dai suoi racconti emergono incontri con esponenti di spicco dell’imprenditoria locale e nazionale e del mondo della politica regionale e romana. Marchese non invitava al suo tavolo, ma era invitato da chi conosceva quello che poteva offrire. Vale a dire i crediti fittizi «procurati dai grossisti e commercializzati alle aziende che avevano necessità di effettuare compensazioni». Il siciliano starebbe riscostruendo le operazioni illecite effettuate con ogni azienda. L’ultimo interrogatorio lo ha sostenuto a metà settimana. A pochi giorni di distanza dall’inaugurazione dell’anno giudiziario nel quale il procuratore generale Marco Martani ha detto: «A Brescia le strutture criminali mafiose sembrano aver sostituito le armi con il modello F24».

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