Cosa ci dice il Nobel per la Pace 2023 a Narges Mohammadi

La giornalista attivista iraniana è stata condannata a 31 anni di carcere e 154 frustate
Narges Mohammadi ha vinto il Premio Nobel per la Pace 2023 - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Narges Mohammadi ha vinto il Premio Nobel per la Pace 2023 - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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In tutte le città come in ogni paese c’è un monumento che ricorda i caduti. Sono pochi invece gli altari dedicati alla pace. L’Ara Pacis della Roma imperiale come il memoriale di Hiroshima sono stati costruiti al termine di guerre atroci. In definitiva si tratta sempre di un armistizio temporaneo poiché l’uomo non rinfodera mai la spada. Lo stiamo vedendo anche in questi giorni dove la tregua fra israeliani e palestinesi è andata in frantumi contro le urla di Noa e le lacrime del bambino biondo bullizzato da altri bambini, entrambi rapiti dai miliziani di Hamas. Le immagini dei giovani che correvano inutilmente per sfuggire alla morte, la distruzione delle case, il dolore e il lutto sono arrivati inaspettati attraverso i social.

La tranquillità sta diventando un’utopia. Infatti quando il Nobel per la Pace 2023 è stato vinto da Narges Mohammadi, una giornalista-attivista reclusa in cella da 7 anni per aver promosso i diritti umani e la libertà, molti hanno solo immaginato come sia difficoltoso vivere serenamente in alcuni Paesi.
Fuori dall’Iran il suo nome e il suo viso sono poco conosciuti. È stata condannata a una pena di 31 anni e 154 frustate per aver denunciato l’oppressione a cui devono sottostare le donne iraniane. Ci vuole coraggio e una grande determinazione per contrapporsi al potere costituito e ai pregiudizi fondati su una cultura patriarcale che ha quasi azzerato le poche conquiste femminili acquisite. 

In un mondo arbitrario e incapace di vivere nella concordia anche il Nobel per la Pace assume la valenza di un altare contro ogni ingiustizia sociale, contro la mancanza di libertà e l’assenza di pari opportunità fra uomini e donne. Se fino ad oggi è stato seguito il principio latino «si vis pacem, para bellum» (se vuoi la pace, prepara la guerra) è doveroso modificare radicalmente il pensiero, poiché se non vogliamo la guerra ognuno deve preparare la pace. In genere chi sente di non avere ciò che gli spetta non riesce ad accettare una politica di relazione. Mi torna in mente una frase di don Lorenzo Milani che ho sentito usare da molti: «non c’è nulla che sia ingiusto quanto fare le parti uguali tra disuguali». In quella terra tormentata c’è solo da sperare che molti seguano il vecchio proverbio ebraico: «In un litigio, lascia la porta aperta per una riconciliazione». 

 

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